23 Settembre 2020 di Elisabetta Agrati Elisabetta Agrati

Una fotografia e un’immagine sono la stessa cosa? Secondo Jacopo Di Cera no. Solo la prima è il risultato di un lungo percorso di analisi, di un’approfondita ricerca artistica che permette a una semplice “immagine” di emergere dal vortice di contenuti visuali da cui siamo circondati ogni giorno. Attraverso i progetti affrontati in questi anni e i temi indagati – dalla abbandonati sulla spiaggia di Lampedusa, all’appiattimento delle differenze sociali che in estate si osserva sui litorali italiani – il fotografo ci spiega l’importanza dello studio e del lavoro curatoriale, affinché ogni fotografia possa esprimere al meglio ciò che l’autore ha voluto fermare attraverso l’obiettivo…

L’Intervista

Jacopo, che cosa rappresenta per te la fotografia? E quando si può dire di avere di fronte una bella fotografia? La fotografia è sempre stata per me momento, attimo, vibrazione, pensiero, filtro, continua e costante ricerca. Studio e ricerca sono alla base di ogni fotografia, di ogni progetto artistico, che non può esistere se non parte da un percorso di analisi. Altrimenti sono immagini. E in questi ultimi anni, data l’incredibile accelerazione tecnologica, siamo in grado di produrre e riprodurre immagini all’infinito. Ma io sono convinto che non tutte le immagini siano fotografie.

Costa pugliese, Italian Summer

Two Waters (Puglia), da “Italian Summer”

Parliamo del tuo ultimo progetto, “Italian Summer”. Nasce quattro anni fa, precisamente a Procida. Mi ricordo ancora la prima fotografia: era ora di pranzo, ero su un piccolo gommone, alla Chiaiolella e una scena aveva attirato la mia attenzione: il passaggio del pranzo da una barca all’altra. Un classico rito che spesso avevo visto in spiaggia, ma non in acqua: moltissime imbarcazioni di diverse famiglie e amici si erano legate l’una all’altra creando diversi gruppi e si passavano qualsiasi pietanza portata per sé e da condividere con gli altri. Gesti naturali, che si moltiplicavano in tutto il golfo popolato da barche di ogni tipo. Un grande pranzo di famiglia. In quel momento ho fatto volare il drone e ho notato come questa scena fosse intensamente ripetuta in tutta la baia, costellata da tantissimi gruppi di barche. Così è nato il primo scatto: Pass Me the Parmigiana! Da diverso tempo stavo studiando una modalità per raccontare l’italianità fotografata in un momento dell’anno importante per ogni classe sociale, l’estate: Italian Summer, infatti, è uno studio che racconta una italianità più attuale, uno spaccato sociale dove emerge un grande appiattimento, dove le differenze di classe si annullano, poiché sotto il sole diventiamo tutti uguali. Una italianità che emerge in diverse situazioni tipiche del nostro Paese e da contrasti che rappresentano le nostre diversità e la nostra forza.

La tua attenzione è rivolta solo agli aspetti sociali o questa è stata anche l’occasione per indagare altrove Italian Summer porta con sé una duplice ricerca: sociale e territoriale. Grazie allo scatto dall’alto, sempre allo zenit, possiamo avere un punto di vista inedito che ci permette di definire una nuova precarietà urbanistica dettata da una “bellezza fake” di spiagge finte caraibiche ma estremamente inquinate, come Rosignano Solvay e le spiagge adiacenti al petrolchimico di Augusta, dove i bagnanti si rilassano totalmente ignari.

spiaggia laziale, Italian Summer

Ble Lake (Lazio), da “Italian Summer”

Queste immagini sono state realizzate con un drone: come mai la scelta di scattare dall’alto? Questo è il mio primo progetto con il drone, strumento per me insolito ma molto affascinante. Il drone ci permette di vedere tutto da un altro punto di vista, di scavalcare confini, di rompere alcuni schemi fotografici. Ma come tutti gli strumenti deve essere funzionale allo scopo, e in questo caso la fotografia verticale e l’appiattimento della prospettiva hanno permesso di ottenere immagini in linea con l’obiettivo originale del progetto. E in tutta sincerità, ha permesso di scoprire anche ciò che non sempre ci si può immaginare stando a terra.

Il progetto si è concluso? Italian Summer è solo a un terzo del percorso. A oggi ho completato sette regioni; l’obiettivo è di terminarle e di fare uno studio completo dell’italianità in estate. Al netto di quello che è avvenuto in questi mesi e che ridimensionerà probabilmente le nostre abitudini, spero di poter completare il progetto entro il 2021.

Ci racconti invece come è nato il progetto “Fino alla fine del mare”? Quali temi hai voluto far emergere? L’ho concepito a Lampedusa. È un lavoro cui sono molto legato sia per l’attualità del tema trattato, l’immigrazione, sia per il viaggio che il progetto stesso mi ha permesso di fare. Tutto è nato nella bellissima isola di Lampedusa, dove ancora oggi sono ammassate sulla spiaggia del paese alcune imbarcazioni di migranti. Sono abbandonate e fatiscenti, se viste da lontano, affascinanti, invece, a uno sguardo più ravvicinato. Proprio questo passaggio, questa dicotomia, ha dato il via al progetto curatoriale, che ha lo scopo di narrare il “viaggio” attraverso una serie di immagini che rimandano a passaggi chiave come la lotta, la speranza, l’isola, il legame e il ritorno. Passaggi che riguardano ogni viaggiatore, che cerca di approdare a una nuova terra. La metafora del viaggio è stata quindi rappresentata da diverse immagini, close-up, dei barconi, immagini astratte e surreali. Ogni opera è stata poi stampata su legno e resinata a mano.

Il Viaggio, da "Fino alla fine del mare"

Il Viaggio, da “Fino alla fine del mare”

In genere, quali sono i temi che preferisci indagare e da dove trai ispirazione? Per me la fotografia è sempre stata ricerca, storia, indagine, racconto. Proprio il racconto è sempre stato alla base del mio fotografare, dai primi lavori sui tetti di Gerusalemme insieme ai ragazzini che imparano l’arte del parkour alle lotte clandestine dei galli a Cuba. La fotografia deve avere uno scopo, una finalità, soprattutto in questa fase storica, dove la moltitudine di immagini ci circonda e a volte ci affoga. E per questo è imprescindibile dallo studio. Ogni racconto, ogni storia deve avere uno studio alla base. Ugo Mulas diceva che per cercare la giusta ispirazione non c’è bisogno di andare in Argentina, ma basta uscire dalla propria porta e bussare al vicino del pianerottolo e sicuramente ci sarà una storia affascinante da fotografare. L’ispirazione è ovunque, dipende con quali occhi osserviamo il mondo.

di Elisabetta Agrati

Jacopo Di Cera

Nato a Milano nel 1981, si laurea in Economia Aziendale e lavora per anni come responsabile marketing, approdando nel 2005 a Roma. In questi anni studia fotografia con grandi fotografi internazionali con i quali ha modo di sperimentare e di confrontarsi. Nel 2010 raggiunge un prestigioso quarto posto al concorso del National Geographic, nel 2017 vince il primo premio Eliana Lissoni con Italian Summer. Nel 2016, con il progetto Fino alla fine del mare, dedicato al tema della migrazione, espone in diversi musei, gallerie e fiere interazionali tra cui MIA Photo Fair (Milano), Fotofever Paris Photo (Parigi), Les Rencontres de la photographie (Arles), PAN (Napoli), Atelier Photo (Ginevra). Nel 2017 espone durante la Biennale d’arte di Venezia presso Galleria Accorsi in San Stae e sulla barca di Pier Paolo Pasolini, Edipo Re, presso l’Arsenale di Venezia e durante il Festival del Cinema ottenendo una grande visibilità internazionale. Nel 2019 con Italian Summer espone alla galleria Stamberga Art Photography (Milano), Paratissima (Torino), Booming (Bologna). Le sue fotografie sono attualmente presenti in alcune gallerie in Italia e all’estero e fanno parte di importanti collezioni private.

L’intervista completa a Jacopo Di Cera ti aspetta su Digital Camera #208! Puoi trovarlo in edicola da venerdì 25 settembre oppure puoi scaricare la versione digitale PDF qui.

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