Nel panorama culturale di Ancona c’è una novità: si chiama THEIA (in omaggio alla divinità greca della visione) ed è una “home gallery”, vale a dire un’abitazione che funziona anche come spazio espositivo aperto al pubblico. Dal 12 aprile al 4 maggio, a cavallo di Pasqua e dei ponti di primavera, THEIA (via Cadorna 4, Ancona) aprirà i battenti con una mostra fotografica di Massimo Baldini intitolata Casa nostra. Housing in Italy: una cinquantina di fotografie a colori che esplorano il tema dell’abitazione privata e dell’abitare nel nostro paese.
THEIA HOME GALLERY
Lungi dall’essere neutro, lo spazio fisico in cui fare arte è carico di significati e implicazioni dal punto di vista culturale, economico e politico. Per arrivare a varcare la soglia della galleria, del museo, del padiglione fieristico, l’artista partecipa inevitabilmente a liturgie e a logiche commerciali che ne orientano il progetto fin dall’ideazione, nel contesto di un mercato tanto più onnipotente e autoreferenziale quanto più ristretto ed “esausto”, come lo definisce il sempre corrosivo polemista Luca Rossi.
Per molti artisti questo si traduce in un’assenza di critica e di confronto e per la scena artistica contemporanea in una crisi di qualità. Come ripensare allora le vie della circolazione dell’arte? Esistono dinamiche alternative a quelle tradizionali? Richiamandosi a esperienze di “home gallery” già diffuse nel mondo anglosassone e non solo, THEIA nasce da questa esigenza: creare un locus dove fra le opere e il loro pubblico sia possibile un dialogo diretto, nell’atmosfera raccolta della casa dell’artista. THEIA dichiara la propria vocazione fotografica ma ospiterà anche eventi culturali e artistici di altro segno.
LA MOSTRA
È vero che costruiamo case per accogliere la porzione di mondo che renda possibile la nostra stessa felicità? Una felicità fatta di cose, persone, animali, piante, atmosfere, eventi, emozioni, immagini e ricordi. Di campagna, di città, rustiche, popolari, signorili: troppo facile liquidare le case degli italiani come altrettanti mostriciattoli edilizi. Guardiamolo più da vicino allora, questo “universo intimo” e allo stesso tempo pubblico, caratterizzato da coesistenze e ibridazioni vertiginose.
Anzitutto il cortile, in cui elementi rurali o suburbani, come l’orto e il giardino, convivono spesso con inserti dell’industrialismo, quali capannoni e silos. Poi richiami alla tradizione classica, come colonne, capitelli, bassorilievi, frontoni, discoboli, Veneri di Milo, David di Michelangelo; l’inesauribile repertorio delle reminiscenze antiche, medievali, rinascimentali, barocche, non di rado compresenti; l’iconografia fiabesca e zoomorfa di nanetti, pastorelli, bambi, aquile, leoncini, scimmiette, cani life-size; la religiosità nazional-popolare incardinata nelle figure della Madonna e di Padre Pio. Infine, uno sperimentalismo anarchico assai congeniale al nostro paese, una scapigliatura architettonica che non finisce mai di stupire: audaci scalinate, archi maestosi, ornamenti neo-neo. Nell’impasto in apparenza incoerente di surreale e banale, inventivo e scanzonato, si disvelano gli arcani dell’italianità, ma anche i modi in cui gli abitanti della penisola cercano, e trovano, la propria felicità.