27 Ottobre 2019 di Vanessa Avatar

«L’ idea o meglio l’intenzione di un libro sulla Sicilia mi nacque non appena cominciai a fotografare». Così Sellerio introduce il suo fotolibro che raccoglie soprattutto le immagini scattate tra il 1954 e il 1968, quando la crisi dei grandi periodici provocata dall’invasione della televisione e dei nuovi media iniziava a immiserire la stagione d’oro del fotogiornalismo, spingendolo ad abbandonare la fotografia. Sellerio si sentiva «un uomo tranquillo» a disagio come cronista nella stagione violenta del dopo Sessantotto, da lui indicato come una «metamorfosi travolgente e oscura». E citando Fucilazione alla Kalsa , si chiedeva: «Avrei mai fotografato una fucilazione vera? Non credo proprio. Registrai quella scena perché era soltanto un gioco. E il gioco è quella forma in cui, più di ogni altra, la vita dovrebbe essere vissuta: per questo avevo scelto la fotografia». Un gioco terribilmente serio per il quale aveva abbandonato la carriera universitaria di assistente di Diritto Pubblico, disposto ad affrontare la professione anche passando una sorta di “servizio militare” arrampicato per mesi sui ponteggi per fotografare i mosaici di Monreale. La sua cultura figurativa andava dalla fotografia di Images à la Sauvette di Henri Cartier-Bresson, che gli fece conoscere l’amico Bruno Caruso, alla pittura di Caravaggio, Vermeer, Courbet e Millet. Sellerio si definiva un «fotografo d’intelligenza, che cerca di capire quel che gli accade attorno, che vede quel che fotografa e non fotografa quel che vede. Un fotografo che sia realmente tale non può essere che uno scrittore che si esprime per immagini». Insomma, un intellettuale critico, insofferente polemista, profondamente immerso nella realtà siciliana a cui tornare  dopo i suoi viaggi per il mondo, fotografando e proponendo le sue fotografie con la presentazione di Cartier-Bresson. Memorabile è il Fotodocumentario Borgo di Dio , pubblicato nel 1955 su Cinema Nuovo che coglieva la drammatica miseria denunciata da Danilo Dolci in Banditi a Partinico . Col tempo l’indignazione e i toni neorealisti si stemperano in una sprezzatura e un’ironia surreale, sottolineata dalle sarcastiche didascalie ai suoi calembour  visivi. Importante, il suo rapporto con il settimanale Il Mondo diretto da Mario Pannunzio che rappresentò una vera e propria scuola per il fotogiornalismo italiano. La sua affermazione internazionale coincise con la pubblicazione sulla prestigiosa rivista svizzera Du dei reportage Palermo una città  nel 1961 e Paesi dell’Etna nel 1964. Il suo sguardo sfuggiva ai luoghi comuni del pittoresco e ciò mise spesso in conflitto con gli art director delle riviste con cui collaborava. Un tipo di fotogiornalismo che andava stretto a Sellerio che intendeva arricchire le sue immagini di un più ampio respiro narrativo come Conversazione a Milo , in una consapevolezza che lo portò a editare e a scrivere egli stesso la prefazione a Inventario Siciliano secondo la sua regola del self-service, abbandonando il progetto della pubblicazione per le Edizioni Scientifiche Italiane, con l’introduzione di Leonardo Sciascia e Renato Guttuso. Inventario Siciliano venne così pubblicato dalle edizioni che aveva fondato nel 1969 con la moglie Elvira, come sfida e atto di coraggio, senza complessi di inferiorità provinciale, perché la Sicilia «ci permette di osservare quel che avviene nel campo della cultura con una certa freddezza, uscire dalla cronaca, affinare il senso critico»
 
Di Vittorio Scanferla

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