13 Giugno 2020 di Redazione Redazione

Chiarito il significato di sRGB, Adobe RGB e ProPhoto RGB, con quale spazio colore è meglio lavorare? Risponde l’Ambassador EIZO Marco Olivotto.

L’ultima lezione sulla gestione del colore si chiudeva con una domanda: “In quale spazio colore standard è più opportuno lavorare?” La risposta era: “Dipende…” – semplice, ma disarmante e certamente poco conclusiva. Ricordiamo innanzitutto che l’espressione “spazio colore standard” si riferisce a spazi colore costruiti a tavolino: si creano dei profili ICC teorici, che non descrivono un dispositivo reale ma che hanno caratteristiche interessanti in determinati contesti. I tre spazi standard più importanti al giorno d’oggi in campo fotografico sono sRGB, Adobe RGB e ProPhoto RGB, ma non sono gli unici. La differenza principale tra essi è l’estensione del loro gamut: sRGB è piuttosto limitato, Adobe RGB è più esteso, ProPhoto RGB è enormemente esteso. Una rappresentazione schematica è visibile in figura 1, assieme al gamut di un monitor EIZO CG319X (in rosso), che come si vede coincide essenzialmente con quello di Adobe RGB – e in parte lo eccede.

Figura 1

Ordine nel caos

La scelta dello spazio colore non è particolarmente complessa, ma purtroppo una cattiva divulgazione in materia ha creato più dubbi di quanti ne abbia risolti. Partiamo dunque con alcune considerazioni che dovrebbero essere ovvie, ma purtroppo ancora non lo sono. La prima riguarda un fatto fondamentale relativo ai dati RAW forniti dal sensore.

A. Il formato RAW non è a colori
Può sembrare un’affermazione assurda, ma così è. I dati RAW, naturalmente, contengono informazioni (seppure parziali) sul colore, ma per essere visualizzati come un’immagine a colori devono subire un’elaborazione complessa, in cui la demosaicizzazione è il passaggio più cruciale. Nella figura 2 proponiamo l’aspetto di un’immagine RAW non sviluppata – che è di norma impossibile visualizzare con gli ordinari software di elaborazione.

Figura 2

È un errore grossolano affermare che l’anteprima visibile in Camera Raw o Lightroom con i parametri di default sia l’immagine RAW non sviluppata, come spesso si legge: si tratta di un’immagine “raster”, RGB, del tutto simile come struttura a quella che otterremo alla fine del processo. Semplicemente, viene proposta con dei parametri prestabiliti, ma è già a tutti gli effetti “sviluppata”.

B. Il formato RAW non ha un profilo ICC
Necessariamente, dal punto A discende che il formato RAW non ha un profilo ICC. Il profilo ICC, che descrive lo spazio colore dell’immagine, viene definito dall’utente e riguarda solo l’immagine che verrà salvata o inviata a un software di elaborazione. La figura 3 mostra le preferenze di Lightroom Classic CC relative allo spazio colore da utilizzare nell’invio dell’immagine a Photoshop (ProPhoto RGB codificato a 16 bit, in questo caso).

Figura 3

La figura 4 mostra invece le opzioni flusso di lavoro di Adobe Camera Raw, che svolgono la stessa funzione delle preferenze di Lightroom (in questo caso, lo spazio colore è Adobe RGB codificato a 8 bit).

Figura 4

C. Le impostazioni della fotocamera non influenzano l’immagine RAW
Dal punto B deriva che impostare sRGB o Adobe RGB come spazio colore nella fotocamera al momento dello scatto non cambia nulla nei dati RAW. Questa impostazione ha effetto soltanto se chiediamo alla fotocamera di produrre un’immagine JPEG.

D. Non utilizzare spazi colore di dispositivo
Uno degli aspetti più vantaggiosi degli spazi standard è quello di essere costruiti a tavolino. Tutti, senza esclusione, hanno una proprietà: in RGB, tre coordinate uguali descrivono un colore neutro, ossia acromatico. In sostanza, se R = G = B stiamo guardando un grigio. La figura 5 riproduce un’immagine in bianco e nero: la metà superiore è codificata in uno spazio colore standard, indipendente dal dispositivo, mentre la metà inferiore è codificata nello spazio colore di uno scanner da scrivania.

Figura 5

In entrambe le immagini vale l’uguaglianza delle tre componenti RGB, ma la seconda è palesemente violacea. Lavorando in uno spazio colore non bilanciato nel grigio, come molti spazi colore di dispositivo, una desaturazione potrebbe produrre un risultato non neutro, e in generale qualsiasi operazione di bilanciamento risulterebbe difficoltosa. Meglio evitare.

Una scelta

I punti della sezione precedente ci indicano una strada, che peraltro si divide in diverse strade secondarie. In sostanza, siamo noi a decidere quale spazio colore utilizzare per l’immagine che vogliamo esportare o processare, e la scelta dovrà cadere su uno spazio standard. Come abbiamo già affermato, in campo fotografico, le scelte più sensate al giorno d’oggi sono sRGB, Adobe RGB e ProPhoto RGB. Nessuna di queste è migliore o peggiore in assoluto. In particolare, si legge spesso l’opinione che ProPhoto RGB sia la scelta obbligata per il fotografo che voglia veramente “spaccare”: non solo questo è falso, ma è anche fuorviante e nasconde un problema non secondario. ProPhoto RGB è una scelta assolutamente lecita e sensata in molti casi, ma richiede una certa esperienza a monte nel caso si vogliano post-produrre le immagini in questo spazio colore.

Figura 6

La figura 6 è divisa in tre parti: a sinistra, l’immagine originale codificata in sRGB, con applicata una curva “a zero” che non modifica il colore; al centro, la stessa immagine sottoposta a una curva che riduce la componente verde nei mezzitoni, in sRGB; a destra, idem ma in ProPhoto RGB. La curva è identica nelle ultime due versioni: cambia soltanto lo spazio colore. L’immagine centrale tende al magenta, rispetto all’originale, a causa dell’applicazione della curva, ma l’immagine a destra presenta una dominante molto più pronunciata di quella centrale. Questo è dovuto all’estensione enorme di ProPhoto RGB: modifiche anche piccole dei numeri di un’immagine possono causare spostamenti cromatici importanti. Il rovescio della medaglia è che bisogna essere molto cauti quando si interviene sul colore in uno spazio dal gamut così ampio. Se da un lato è bello sapere di poter operare modifiche massive sul colore, dall’altro è opportuno saper tenere il controllo – pena la generazione di colori seriamente fuori dal gamut sia del monitor sia della stampa. Il suggerimento che convenga comunque lavorare in ProPhoto RGB, perché in futuro esisterà un monitor in grado di coprire tutto questo spazio colore, mostra quanto ingannevoli siano le convinzioni in questo campo.

Se riguardiamo la figura 1, notiamo che il triangolo che delimita ProPhoto RGB ha due vertici che cadono fuori dal diagramma di cromaticità: si tratta del verde e del blu. Quei vertici sono i primari verde e blu, rispettivamente, di un ipotetico e ideale “monitor ProPhoto RGB”. Il ferro di cavallo, però, rappresenta i colori visibili a un essere umano medio. Se i primari cadono fuori dal ferro di cavallo significa che sono… invisibili. Non è uno scherzo: se esistesse un monitor in grado di riprodurre tutti i colori di ProPhoto RGB, visualizzare un colore come 0R 255G 0B non produrrebbe un verde fantascientifico, come qualcuno pensa, ma qualcosa che non percepiremmo, perché quel colore è invisibile per noi. A ben pensarci, un verde intensissimo e invisibile è realmente fantascientifico – ma a noi importa la pratica, perché alla fine dobbiamo post-produrre delle immagini fotografiche, possibilmente al meglio delle nostre capacità. Quindi, cosa conviene fare?

Una provocazione: quando sRGB basta (e avanza)

Quando si parla di gamut, ossia di estensione cromatica di uno spazio colore, si tende a dimenticare che anche le immagini hanno un gamut: qualsiasi immagine digitale contiene un numero finito di colori, che si distribuiscono occupando parzialmente uno spazio colore. La figura 7 mostra una riproduzione del celebre Ritratto di cardinale di Raffaello Sanzio: il quadro originale è dominato da toni di rosso, e i singoli colori riportati all’interno di un cubo che contenga tutti i campioni RGB lo dimostrano chiaramente. Sono del tutto assenti toni verdi, blu, ciano, magenta, e ben poco si può assimilare al giallo.

Figura 7

Il gamut di questa immagine è di gran lunga più ristretto di quello del più piccolo spazio RGB che possiamo pensare di utilizzare: il quale, quindi, basterebbe per riprodurre fedelmente i colori che ci interessano. Se questo spazio fosse, per dire, debolissimo sulle tinte blu, questo non inficerebbe in alcun modo la resa dell’immagine, perché il blu non è compreso in essa. Il discorso sarebbe diverso, però, se volessimo riprodurre cieli azzurri e mari o laghi dal colore intenso. Questo significa che se il nostro lavoro consiste nello scattare fotografie in studio a una modella che indossa abiti di colore pastello, non abbiamo alcun vantaggio a lavorare in uno spazio colore esteso: anzi, possiamo avere maggiore controllo e precisione di intervento utilizzando uno spazio colore dal gamut ristretto, come sRGB. Se invece dobbiamo riprendere soggetti caratterizzati da colori intensi, sRGB potrebbe non essere sufficientemente grande per contenere tutte le sfumature che vogliamo riprodurre. La scelta di Adobe RGB sarebbe obbligatoria, e magari anche utilizzare ProPhoto RGB sarebbe sensato.

Un parere personale

Raramente utilizzo uno spazio standard diverso da Adobe RGB. Per quanto mi riguarda, è del tutto sufficiente per ciò che faccio. Vale la pena ricordare che la scelta di uno spazio colore non è vincolante per la vita: se ritengo che un’immagine possa beneficiare dall’utilizzo di ProPhoto, cambio strada e lo uso senza problemi. Inoltre, come è ben noto, sRGB è e rimane lo standard di fatto per le immagini destinate al Web: se si lavora in Adobe RGB è necessario convertire in sRGB le immagini che si vogliono pubblicare in Rete, al fine di evitare sorprese; pertanto questo spazio colore rappresenta una scelta obbligata, anche se questo non è un buon motivo per lavorare esclusivamente in sRGB. In pratica, la mia prassi è questa: immagine master (per la stampa e l’archiviazione) in Adobe RGB, versioni web in sRGB – salvo rare eccezioni. Se si decide di lavorare in ProPhoto RGB, è consigliabile utilizzare una codifica a 16 bit per non incorrere in posterizzazioni legate all’enorme estensione di questo spazio colore. Questo implica che i file occuperanno il doppio dello spazio disco e che alcune operazioni saranno seriamente rallentate (provate il filtro “Sfocatura superficie” su un’immagine a 16 bit, per esempio), ma questo non è sempre un problema.

In sintesi…

La risposta iniziale (“dipende”) si traduce in questa: lo spazio colore più adatto è quello che meglio risponde alle esigenze del lavoro che si sta facendo, e non tutte le fotografie hanno le stesse caratteristicheLaddove abbiamo dei vantaggi su un versante, avremo degli svantaggi sull’altro – e viceversa. In ogni caso, suggerisco di diffidare da chi propone soluzioni preconfezionate spacciandole come universalmente valide: spesso sono basate su convinzioni infondate in quanto scientificamente errate, o perlomeno largamente discutibili.

 

Chi è Marco Olivotto


Classe 1965, si laurea in fisica, ma lavora per anni come tecnico del suono e produttore musicale. Appassionato di fotografia fin da bambino, si avvicina presto alle tecniche digitali. La svolta avviene nel 2007, quando scopre i libri di Dan Margulis, padre della correzione del colore in Photoshop. Inizia a trasportare le tecniche apprese nella realizzazione grafica delle sue produzioni, fino a che nel 2011 inizia a insegnare gli stessi argomenti dopo avere seguito due corsi di teoria del colore applicata (base e avanzato) con lo stesso Margulis. Pubblica oltre 50 ore di videocorsi sulla materia con Teacher-in-a-Box, scrive a lungo per riviste specializzate, insegna in corsi post-diploma e universitari. Diventa speaker ufficiale per FESPA in diverse fiere internazionali e tiene corsi e workshop in Italia e Svizzera in diverse scuole (LABA, ILAS) e organizzazioni private. Ha collaborato in veste di consulente e formatore con realtà come Canon, Durst, Mondadori, Yoox, Angelini, Calzedonia, FCP Grandi Opere e altre. Si occupa di post-produzione fotografica e prestampa per diverse realtà editoriali. Nel 2016, la casa madre giapponese di EIZO lo ha nominato Ambassador nel primo gruppo di esperti formatosi attorno al marchiomarcoolivotto.com

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