30 Novembre 2018 di Giada Storelli Giada Storelli

Nessuno è riuscito, come Jack Kerouac con il suo libro On The Road, a racchiudere e a definire lo spirito della cultura giovanile della Beat Generation degli anni Cinquanta. Il rifiuto degli status imposti, la negazione dei valori e la ricerca di un nuovo senso della vita nelle strade americane, raccontati dallo scrittore nel suo viaggio epifanico, sono stati gli stessi ideali che hanno spinto, nella sua istrionica carriera, il fotografo e videomaker William Klein, pioniere, insieme con Robert Frank e Lee Friedlander, della street photography americana.

William Klein: pioniere della street photography americana

Immagini rumorose, sfocate, distorte, impulsive e pervase da un vortice di pura energia, compongono i tratti distintivi di un punto di vista unico e incredibilmente radicale nel raccontare la vita nella tumultuosa complessità della società di quel tempo.

Klein, benché nato a New York nel 1928, trovò in Parigi, nel suo vivace ambiente culturale, la sua città d’adozione, nella quale si trasferì nel 1947 dopo aver prestato servizio nell’esercito statunitense. Nella capitale francese ebbe la possibilità di seguire i corsi di arte e pittura all’università Sorbona e di frequentare lo studio del pittore e scultore cubista Fernand Léger, assecondando così la sua grande passione per l’arte, che fin da piccolo lo spinse a frequentare assiduamente e ossessivamente il MoMA di New York.

Mosso da un forte rifiuto verso qualsiasi sorta di definizione, nei primi anni parigini s’immerse totalmente nella sperimentazione tra pittura e scultura, affascinato e ispirato dalle progressiste idee di rottura delle avanguardie storiche, come il Dadaismo e il Futurismo, e del Bauhaus tedesco di László Moholy-Nagy, sotto l’influenza dal pensiero estetico e anticonformista del maestro Léger.

La fotografia e le nuove possibilità espressive del mezzo

È in tale turbine di propulsiva energia creativa che William Klein scopre la fotografia e inizia a verificare le infinite e nuove possibilità espressive del mezzo, riuscendo a sintetizzare e a confluire in questo le sue sperimentazioni pittoriche, soprattutto di tipo astratto e informale, e annullando qualsiasi forma di confine multidisciplinare.

Il suo irriverente sguardo, eternamente in tensione tra il ragazzaccio di strada senza peli sulla lingua e l’animo sensibile dell’artista, l’ha condotto, per sua stessa ammissione, a «fare fotografie incomprensibili quanto la vita». Il punto di svolta della sua carriera arrivò nel 1954 quando Alex Liberman, allora direttore artistico di Vogue America, colpito da alcune sue fotografie astratte e dalla sua forte immaginazione, gli propose di ritornare a New York offrendogli un lavoro come fotografo nella sua rivista.

Per Vogue, Klein portò per la prima volta le modelle fuori dagli studi di posa, mescolandole con la gente comune e la vita reale, creando così un nuovo immaginario composto da scatti grintosi e di rottura, caratterizzati da uno stile spontaneo, potente e molto lontano dai paradigmi dalla fotografia di moda vista fino a quel momento.

In quegli anni, supportato economicamente dal lavoro per Vogue, Klein si dedicò parallelamente a quello che è sempre stato il suo grande amore: la strada. Con gli occhi di uno straniero in patria, ha documentato la vita newyorkese riconsegnandocela in un libro, non una semplicemente raccolta d’immagini, ma un incredibile e brutale ritratto della città, considerato da Martin Parr «il più influente libro fotografico mai pubblicato».

New York by William Klein, questo il titolo della pubblicazione, è una prosa ritmata, un’improvvisazione jazz dove ogni immagine, contemporaneamente, rompe e compone una melodia complessa e graffiante. I suoi scatti, pur nascendo dalla casualità del flusso della realtà, hanno un forte senso della composizione ma senza il sostegno di una gerarchia di piani e di soggetti.

William Klein e la ricerca cinematografica

Il suo sguardo forzatamente grandangolare all’interno della scena e la sua capacità di trasformare la gente comune in personaggi teatrali e grotteschi, grazie soprattutto al suo occhio satirico, svelano l’altra sua forte passione verso la ricerca cinematografica. Nel 1958, Klein sperimentò un nuovo modo di documentare lo spirito della Grande Mela, girando un cortometraggio dal titolo Broadway by Light, un collage astratto composto dalle ombre, dai suoni e dalle luci al neon delle scritte pubblicitarie di Times Square, e considerato uno dei primi esempi di Pop Art.

Poco tempo dopo, nel 1966, si cimentò nella creazione di un vero e proprio film, Who are you, Polly Maggoo?, una parodia tagliente e dissacrante del mondo della moda. Entrambi i film, come le sue fotografie, nacquero dal forte desiderio di documentare e riflettere sulle persone e il loro rapporto con la società nella quale vivono.

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