30 Luglio 2019 di Vanessa Avatar

Guido Harari capace di creare empatia con i suoi soggetti. Per lui la regista Lina Wertmüller si mette nuda in una vasca bagno e Tom Waits si traveste da torero. Guido Harari ha inizio nei primissimi anni Settanta. Il suo servizio di esordio è dedicato al napoletano Alan Sorrenti, per l’uscita dell’album Aria . I rapporti con la scena partenopea si faranno sempre più fitti negli anni, soprattutto con Pino Daniele di cui Guido ha curato numerose copertine di dischi. Da qui in avanti è un susseguirsi di cover, di servizi giornalistici, di reportage in giro per il mondo. Molte le amicizie e le collaborazioni illustri: su tutte quella ventennale con Fabrizio De André e con alcune delle più importanti star della musica internazionale – ricordiamo la copertina dell’album Real Live  di Bob Dylan –. Un’esperienza, quella nella musica, che s’intensifica sempre più per quindici anni filati. Poi una pausa dedicata all’incontro con Lindsay Kemp, il danzatore e mimo inglese che fu mentore di David Bowie e Kate Bush. Guido lo ritrae per tre anni in ogni situazione, in tournée e nel privato. Il tutto si tradurrà nel primo di una lunga serie di libri. L’esperienza è rivelatrice: a Guido il solo mondo della musica comincia a stare stretto. Gli preme allargare gli orizzonti dei suoi ritratti, privilegiando storie di più ampio respiro alla ricerca di nuove e più stimolanti occasioni di crescita. Nel 1994 entra a far parte dell’agenzia Contrasto e, senza mai perdere di vista il mondo delle celebrities, avvia nuove esperienze nel corporate  aziendale e istituzionale, nella pubblicità, nella moda e soprattutto nel reportage e nel ritratto a tutto campo. Indimenticabili restano gli scatti a Gianni Agnelli, Luciano Pavarotti, Giorgio Armani, Giorgio Gaber, Rita Levi Montalcini, Renzo Piano e alla dolcissima Alda Merini. «Volevo e dovevo cambiare – prosegue Harari – desideravo capire se la macchina fotografica, che da piccolo vedevo sempre in mano a mio padre, potesse funzionare anche per me come un talismano. Pur non professionista, mio padre sapeva raccontare in modo intimo ed efficace le vicende della nostra famiglia, e anch’io desideravo espandermi fino ad abbracciare il mondo intorno a me, un passo oltre gli stanchi rituali codificati dello show business. All’inizio la fotografia era stata per me un passepartout per arrivare a scoprire e a conoscere gli artisti che amavo, ma a quel punto tutto il quadro era cambiato, io compreso».

Guido Harari: un fotografo speciale

Un fotografo davvero speciale Harari: curioso, affamato di storie e ossessionato dalla conservazione della memoria di eventi e persone, ha certamente contribuito a riscrivere il vocabolario contemporaneo delle immagini e, per rinnovare se stesso, è ripartito dal suo archivio. Senza mai smettere di fotografare si è messo a produrre libri. I progetti più intensi sono quelli dedicati a Fabrizio De André dal titolo Una goccia di splendore  e Gaber . L’illogica utopia  e quello realizzato in collaborazione con Fernanda Pivano, The Beat Goes On . Dai libri alle mostre il passo è breve. Nel 2009 Guido è il curatore della grande mostra multimediale dedicata a De André e realizzata con Studio Azzurro. La location è Palazzo Ducale di Genova, città natale del poeta e cantautore e il numero dei visitatori batte ogni record del museo, superando le 300.000 presenze. Il successo si ripete nelle altre sedi di Milano, Roma, Palermo e Nuoro.
«Naturalmente non ho soluzioni preconfezionate in tasca, posso solo augurarmi che i giovani non smettano di coltivare la loro curiosità e di sviluppare delle storie. Nell’epoca del digitale, la bulimia di immagini ha ridotto allo stadio zero il linguaggio e le modalità di fruizione. Ogni esperienza, prim’ancora di essere vissuta e metabolizzata, viene fissata in un’immagine, sempre più spesso con un cellulare. Occorre ripensare a cosa significava fotografare in analogico anche solo dieci o quindici anni fa, quando ci si concentrava sulla luce e su dettagli tecnici che oggi sono risolti in partenza dallo sviluppo tecnologico. Quanti dei molti che si ritengono fotografi, sono in fondo semplici possessori di una macchina fotografica?».

Ci sono 2 commenti

  • Senza parole, condivido tutto. Anche io sono del 53, ed ho iniziato nei primi anni 70 da militare, come fotografo nell’ esercito , aTorino. Poi un percorso presso laboratori fotografici, tantissima gavetta. Poi diversi studi fotografici il primo quasi di proposito in una zona difficile di Palermo, ad alta densità mafiosa, come voler portare la bellezza dell’ arte a soggetti difficili., Poi dopo 11 anni finalmente trasferimento in zona nobiliare.( ma alla distanza di anni ho imparato di più nella vecchia zona poiché si possono raccontare delle Storie, e il mestiere del fotografo credo che sia proprio quello di raccontare.

  • Mi piacerebbe conoscerti di persona personalmente!!

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