8 Maggio 2019 di Vanessa Avatar

Nato a Budapest nel 1894, comincia a fotografare molto presto con una piccola ICA 4,5×6. Riprende perlopiù scene di vita cittadina, contadini, animali, interni domestici e ritratti dei suoi familiari. Per sviluppare meglio le sue potenzialità fotografiche, non trovando opportunità valide nel suo Paese, si trasferisce a Parigi nel 1925. Qui entra nel pieno fermento della cultura artistica europea dei primi decenni del Novecento e frequenta personaggi come Man Ray, Berenice Abbott, Mondrian, Chagall, Brancusi, Eisenstein e Brassaï, gloriosi esempi della straordinaria fioritura delle arti visive nelle sue tante declinazioni: dal neopittorialismo allegorico alla visione più straight della fotografia documentaria, fino alle sperimentazioni sulla struttura e sulla plasticità delle forme. In questa effervescenza carica di possibilità Kertész compie fin da subito una scelta ben definita che porterà avanti per tutta la sua vita: occuparsi di ciò che accade intorno a lui, piccoli fatti che non cambiano le sorti del mondo, ma danno un senso del tutto personale all’istante. «Non importa il successo immediato – ricorda – presto o tardi scoprirai ciò che quell’immagine significa per te e ritroverai l’emozione del momento in cui l’hai scattata». Un concetto di cui Cartier-Bresson, per sua stessa ammissione, gli sarà debitore.Il diario degli istanti Le fotografie di Kertész nascono, dunque, da un intento più espressivo che comunicativo, tutt’altro che naïf. Nonostante la semplicità dei soggetti e l’essenzialità delle inquadrature, la costruzione delle sue immagini è frutto di un’attenta e raffinata regìa formale e spaziale. Per attuarla sceglie il piccolo formato, poco vincolato ai tecnicismi e a un lungo lavoro preparatorio che farebbero sfumare l’attimo. Con la sua Leica riprende spesso scene dall’alto, un punto di osservazione con il quale «posso inglobare nell’inquadratura tutto quello che desidero» – spiegherà. Realizza così una serie di vedute dalla finestra del suo appartamento che affaccia sul parco di Washington Square, al Greenwich Village di New York; qui si era trasferito da Parigi nel 1936 per lavorare con l’agenzia cinematografica Keystone di un amico ungherese. Il suo contratto dura un solo anno, ma finirà per restare oltreoceano per tutta la vita. Quando scoppia la guerra, però, ha difficoltà a muoversi per strada con la fotocamera poiché negli Stati Uniti è considerato una sorta di nemico, né può tornare in Europa. Inoltre, il fotogiornalismo statunitense è molto diverso da quello europeo. Le sue fotografie sono considerate troppo intime ed emozionali dai giornali che chiedono soprattutto immagini documentarie. Scaduto il contratto con l’agenzia si dedica alle vedute di interni e alle nature morte e collabora con numerose riviste tra cui Vogue, Harper’s Bazaar, Look, House and Garden. Nel 1944 ottiene la cittadinanza americana e alcuni anni dopo firma un contratto con l’editore Condé Nast. La collaborazione prosegue fino al 1962 quando decide di abbandonare il mondo dell’editoria per tornare alla vera fotografia, quella che risponde a un impulso interiore, fatta solo per se stesso. Comincia a esporre in grandi mostre, pubblica libri, ottiene consensi dalla critica e dal collezionismo e presenzia alle più importanti manifestazioni internazionali di fotografia fino agli ultimi anni della sua vita.

Il realismo magico di Kertész

Mentre si trova a Parigi, il direttore della rivista Sourire gli commissiona alcune fotografie a tema libero. Kertész, che già da tempo era affascinato dalla distorsione visiva – illuminante fu la fotografia del nuotatore sott’acqua che aveva scattato nel 1917 – noleggia uno specchio deformante da alcuni circensi e realizza una serie di nudi assoldando come modella un’amica del direttore. Quest’ultimo ne resta molto colpito e pubblica alcune di quelle immagini. Kertész ne raccoglie altre duecento per un libro finanziato da un editore tedesco. L’ascesa al potere di Hitler, però, ne blocca la pubblicazione. Riesce ugualmente a esporre alcune stampe al Moma di New York, seppur con il sesso occultato. Il libro con i nudi distorti vedrà la luce solo nel 1976.
 
Burlesque dancer (Satyric dancer), 1926 © André Kertész

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