Cosa ti ha colpito di più del lavoro dei volontari della Croce Rossa? «L’idea di collettività e di fraternità, l’unione di queste persone nella tragedia. C’è una frase molto interessante detta da un giovane volontario: “Se questa è una guerra e noi siamo i guerrieri, l’unica cosa che tiene i guerrieri salvi nella guerra è il sentimento di fratellanza”. Mi ha colpito moltissimo anche il coraggio, l’umanità e la forza delle famiglie nell’affrontare questa pandemia. Il virus è un nemico invisibile. È il virus della solitudine, che è il grave dramma di tutto ciò. La solitudine delle persone anziane, la solitudine dei malati in ospedale, la solitudine dei famigliari che non possono andare a trovarli. Le persone muoiono da sole e, a questo, si aggiunge la mancanza di un degno funerale».
Sei abituato a documentare zone di conflitto in cui si ha a che fare anche con la paura. Avevi paura in questo caso di essere contagiato? «Seguire i protocolli di sicurezza è assolutamente necessario per ridurre al minimo il rischio. Documentare una zona di conflitto è differente dal realizzare un reportage sull’epidemia. È importante avere paura in queste situazioni perché è proprio la reazione alla paura che aiuta a essere più lucidi. Diffida di quelli che in guerra dicono di non averne. La differenza è come si reagisce a questo sentimento. In territori di battaglia ci sono molte situazioni in cui il rischio è elevato, non solo nelle front line. Più che la paura, in questo lavoro ha prevalso la difficoltà emotiva. Si tratta di situazioni in cui si vive il dolore dell’isolamento e dell’abbandono».
Quali parole chiave hanno accompagnato questo lavoro? «La relazione empatica. Ogni situazione è differente, ma il rispetto per i soggetti fotografati è un fattore che accompagna tutte le mie fotografie, dalle breaking news ai reportage d’approfondimento. Per realizzare immagini e colpire il lettore serve vicinanza emotiva. Tutte le persone incontrate hanno dimostrato coraggio e interesse nel mettersi in gioco per un bene collettivo: mostrare al mondo i rischi e i pericoli di questo virus. Ho passato molto tempo a parlare con le famiglie spiegando nel dettaglio di cosa trattasse il mio lavoro e come intendevo procedere. Si entra negli spazi privati, nell’intimità della gente e si deve rispettare la loro privacy. Terminato il lavoro di documentazione, facevo firmare una liberatoria».
Nelle stesse settimane in cui hai lavorato a questo progetto sei stato insignito del secondo premio nella categoria General News, Stories della 63esima edizione del World Press Photo. «Si tratta di un lavoro che ho sviluppato in Cile negli ultimi mesi del 2019. Nell’ultimo anno e mezzo sono stato in Messico, in Brasile e ho viaggiato molto nella zona dell’America Centrale. Il lavoro premiato riguarda gli scontri in Piazza Santiago e la lotta contro il sistema neoliberale, contro la Costituzione vigente – è ancora quella di Pinochet – e le privatizzazioni. Questo, negli anni, ha creato moltissime diseguaglianze di classe, scoppiate in una rivolta. Ho cercato di documentare la storia non solo da un punto di vista mediatico di news, ma cercando di portare alla luce le ragioni di questa rivoluzione in atto».
Fabio Bucciarelli
Fabio è un fotografo, giorna- lista e autore italiano riconosciuto internazionalmente per i suoi lavori nelle zone di conflitto e sulle conseguenze umanitarie delle guerre. Negli ultimi dieci anni ha documentato gli eventi centrali della storia contemporanea in Medio Oriente, Africa, Europa e in Centro e Sud America. I suoi reportage sono stati insigniti dei più importanti premi internazionali fra i quali la Robert Capa Gold Medal, il World Press Photo, il Picture of the Year, il Prix Bayeux- Calvados for War Correspondents e il Sony International Photography Award. Il suo libro The Dream(FotoEvidence, New York, 2016) è stato scelto fra i migliori fotolibri dell’anno dal Time Magazine. Oggi Bucciarelli lavora per l’editoria internazionale e come direttore artistico per musei e istituzioni italiani. Le sue fotografie sono esposte in gallerie e fiere d’arte in tutto il mondo.
di Raffaella Ferrari
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