28 Luglio 2020 di Redazione Redazione

Simona Ghizzoni indaga il mondo contemporaneo partendo da un vissuto intimo, dove forte è il legame che intreccia con i suoi soggetti attraverso una fotografia documentaria personale. Dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza, l’autrice e la sua famiglia si sono trasferiti a vivere nell’Appennino Tosco-Emiliano, nella casa dei nonni materni. Nasce così Isola, un progetto nel quale non si coglie visivamente l’immediata tensione di quei giorni, ma il racconto del quotidiano in una natura effimera e in mutamento. A emergere, in un isolamento voluto, è una riflessione sul proprio essere e il desiderio di pensare un futuro nuovo.

L’intervista

Che rapporto ti lega alla natura e in particolare al luogo dove è nato Isola? «La relazione con la natura è una delle mie ossessioni o passioni, presente già nelle mie prime fotografie e parte integrante della mia ricerca. In questi luoghi dell’Appennino tascorrevo da bambina le vacanze e qui è nato il mio amore per questo mondo che mi meraviglia ogni volta e che è diventato un elemento importante dell’isolamento. Il giorno che sono arrivata ho scattato Cammino, una foto che avevo realizzato precedentemente in quello stesso punto, il mio preferito in questi boschi, e che sento come rifugio».

Il tema dell’autoritratto come racconto intimo è presente anche in questo lavoro, ma in veste leggermente diversa. «Se solitamente nei miei autoritratti l’interpretazione della realtà è molto pittorica, qui avevo bisogno di semplificazione, forse per un senso di attaccamento alla realtà delle piccole cose quotidiane. Queste sono immagini evocative di un diario in cui mi sento molto esposta e che diventano espressione degli stati emotivi vissuti. C’è l’autoritratto della stanchezza, della noia, dell’angoscia o della quiete. Quest’ultimo, per esempio, mi vede sdraiata sulla neve appena caduta e mostra un momento in cui mi sono sentita in pace nonostante tutto».

Quiete (autoritratto), Isola © Simona Ghizzoni

Quiete (autoritratto), Isola © Simona Ghizzoni

Nelle immagini si avverte un forte dualismo dato dalle contrapposizioni di luci e ombre. «Durante questo periodo ho scattato quando mio figlio dormiva, di sera o durante le prime luci del mattino, dove tutto sembrava sospeso. La presenza dell’ombra è importante perché dove ci sono dei neri profondi c’è anche qualcosa che non posso vedere, ma che posso immaginare. Le paure, il caos e l’ignoto sono tutti aspetti che aprono a un’estetica interpretativa. La presenza e la ricerca del doppio è in questo momento il cuore del mio lavoro».

Madre e figlio (autoritratto) © Simona Ghizzoni

In questo periodo che rapporto hai avuto con gli oggetti? «In Isola ci sono anche alcuni still life, qualcosa che raramente ho fatto in passato, ma che qui ho voluto. Ogni cosa è diventata così unica e preziosa, dagli oggetti trovati a ciò che il mio gatto portava in casa. Tutto in questo periodo ha portato a una semplificazione, dal trascorrere del tempo alla riscoperta dell’essenziale».

Simona Ghizzoni

Classe 1977, Simona è fotografa, artista visuale e attivista per i diritti delle donne, soprattutto per i progetti Odd Days e Aftermath-Rayuela. Ha esposto in importanti occasioni e luoghi (Nobel Peace Centre, Paris Photo, Photo España, Athens Photo Museum, Palazzo delle Esposizioni di Roma) e le sue opere figurano in prestigiose collezioni. Ha vinto The Aftermath Project, Burn Magazine Emerging Photographer Grant, Margaret Mead Film Festival, Leica Oskar Barnack Award, Sony World Photography Award e World Press Photo. È una TEDX speaker e tiene lecture in Italia e Europa. Dal 2017 è Canon Ambassador e cofondatrice di MAPS Images. In Italia è rappresentata da MLB Gallery.

di Gloria Viale

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