16 Dicembre 2018 di Vanessa Avatar

Ludovica Bastianini

Il suo lavoro unisce il linguaggio della fotografia alle tecniche miste quali la pittura, il collage e l’illustrazione. Ne risulta un’opera delicata e molto evocativa; la manipolazione diretta delle immagini è finalizzata alla comprensione di come questa possa modificare la nostra percezione della realtà. Ludovica Bastianini esplora questioni sociali della contemporaneità ed è molto vicina alle tematiche che riguardano le donne e i bambini.
Nel 2017, è stata segnalata quale giovane talento della fotografia europea su numerosi  magazine e siti, tra cui Grazia France, Le Monde, SRF, Numero. Ha ricevuto l’attenzione del canale televisivo franco-tedesco Arte Journal, che le ha dedicato un’intervista in occasione del Festival Circulations a Parigi.

Intervista a Ludovica Bastianini

Hai studiato storia dell’arte prima di avvicinarti alla fotografia; quanto credi abbia inciso questa formazione sulla tua ricerca? E quanto quella accademica?
«Credo che la formazione universitaria sia stata molto importante nel definire i miei modelli di riferimento. L’attenzione alla storia e agli autori del passato è sempre presente ed è più forte verso i linguaggi della pittura e della scultura antichi, più che della fotografia. La formazione accademica è stata altrettanto fondamentale; mi ha dato un metodo di lavoro e di indagine, mi ha aiutata a confrontarmi con la produzione contemporanea. Lezioni con artisti come Francesco Jodice e Linda Fregni Nagler sono state di grande ispirazione in questo percorso».

Negli appunti visivi del periodo della tua formazione c’era già una forte sperimentazione del mezzo fotografico, digitale e analogico, interventi manuali, luci e tagli ricercati. Come credi sia evoluto il tuo linguaggio? Chi o cosa influenza la tua espressione?
«Durante gli anni universitari ho studiato pittura, illustrazione, fotografia analogica e digitale. Ho sentito il bisogno di sperimentare tutto, non ho mai percepito la fotografia come un medium delimitato in un linguaggio o in una tecnica specifica. Oggi sono a un punto in cui non mi interessa tanto produrre fotografie mie, preferisco analizzare cosa mi viene proposto dalla società. Appropriazione artistica e manipolazione delle immagini costituiscono la base del mio approccio, ma anche l’interazione con altre discipline e la ricerca di un risultato materico. Le influenze sono tante, anche se distanti dai miei risultati. Un artista a cui guardo molto ultimamente è William Kentridge».

Quali sono le tematiche a cui sei particolarmente legata? Cosa ti interessa trasmettere con la fotografia?
«Tramite il lavoro artistico cerco di approfondire il mio sguardo sulla società contemporanea, sulla funzione delle immagini nella sua evoluzione, sulle dinamiche psicologiche di massa. C’è sicuramente un’attenzione privilegiata riguardo alla posizione  della donna e a come questa si è evoluta nel tempo. Sono interessata al linguaggio dei mass media, ai modelli che propongono e al modo in cui sono sedimentati nella nostra cultura».

Nella serie In your place, parti da una matrice fotografica che arrivi quasi completamente a sfaldare nel terzo e ultimo capitolo. Mi racconti come lavori su un’intuizione e come, manualmente, la realizzi?
«In your place  è partito da un’esigenza istintiva, poco definita in partenza; si trattava della percezione di una connessione con tematiche lontane dalla mia esperienza personale, del bisogno di esplorarle in modo fisico, quasi performativo. Le azioni di vestire, coprire, cucire, tagliare le immagini, mi hanno permesso di approfondire temi come la manipolazione della coscienza, il controllo del corpo, l’umiliazione degli istinti, la storia della repressione della donna. L’intervento manuale è la chiave che mi ha permesso di ritrovare, alla fine del percorso, il punto di contatto che avevo avvertito solo a un livello intuitivo.

La premessa iniziale del progetto si è così spogliata fino a giungere a una sintesi del segno». In questo momento stai lavorando a nuove idee o sperimentazioni?
«Attualmente sto studiando per ampliare un progetto già iniziato dal titolo Erasing exercises . È un lavoro che parte dalla storia dell’arte classica, come linguaggio di riferimento storico, per analizzare come i sistemi di censura abbiano lasciato delle tracce nella produzione artistica di un’epoca e nella sua eredità culturale. Anche in questo lavoro c’è uno sguardo focalizzato sulla visione della donna e sulle sue reali possibilità di integrazione nel tessuto sociale, politico e giuridico, dall’antichità fino a oggi».

Foto in evidenza

In your place, 1st Chapter – Child brides, 2016

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