1 Ottobre 2019 di Vanessa Avatar

Simbolo della guerra civile spagnola e di un conflitto tanto radicalizzato sul piano ideologico da rendere impraticabile la neutralità dei corrispondenti di guerra, il Miliziano colpito a morte di Robert Capa diventa il pretesto per un’indagine sulla verità in fotografia. Dagli anni settanta il celebre scatto, che mostra un soldato repubblicano raggiunto in pieno volto da un proiettile, ha generato un acceso dibattito fra detrattori e difensori del fotografo in merito ai luoghi della tragedia, all’identità del miliziano ucciso, alla traiettoria dei colpi e alla sequenza delle immagini realizzate quel 5 settembre del 1936.
Nel volume L’affaire Capa. Processo a un’icona Vincent Lavoie ripercorre le tappe di questo processo al fotogiornalismo a partire dall’accusa di Phillip Knightley contenuta nel libro The First Casualty. From the Crimea to Vietnam: The War Correspondent as Hero, Propagandist, and Myth Maker e pone al centro della questione i fondamenti morali della professione: l’autenticità dell’immagine, l’integrità del fotografo e la verità della scena. Ben lungi dal voler aggiungere nuovi elementi a un dossier già voluminoso, l’autore analizza piuttosto i regimi di verità – espressione che mutua da Michel Foucault – messi in campo di volta in volta dai protagonisti dell’affaire Capa: la parola dei testimoni, la replica documentaria fatta di materiali scritti e visivi riesumati dagli archivi, le perizie medico-legali sull’immagine trattata alla stregua di una scena del crimine. Ne emerge una figura di Capa lontana dalla storiografia ufficiale: il Capa di Lavoie è un colosso dai piedi d’argilla, un giovane reporter ungherese appassionato, avido di fama e di successo, che ha dedicato la vita alla costruzione del proprio mito con un nome preso in prestito. Se la scoperta della cosiddetta “Valigia messicana” contenente 4.500 negativi di Capa, Gerda Taro e David Seymour sembrava avvalorare l’autenticità dell’immagine, fornendo un insieme di fotografie scattate nella periferia geografica e temporale dell’icona contestata, il recente studio della ricercatrice José Maria Susperregui ha in realtà stabilito che il luogo dello scatto non era, come si è sempre sostenuto, il fronte di Cerro Muriano, bensì un’area denominata Espejo, in quei giorni estranea al teatro di guerra. Gli esperti sono tutt’oggi divisi e nessuno degli argomenti proposti è in grado di mettere la parola “fine” a questa controversia come a quella riguardante le Magnifiche undici, le fotografie del D-Day che la rivista Life ha indicato come le sole sopravvissute di una più lunga serie realizzata da Capa quel 6 giugno decisivo e a cui Lavoie dedica l’ultima parte del volume.
In tempi di fake news e manipolazioni digitali, la complessa vicenda dell’affaire Capa va ben oltre il singolo caso e assume una portata ideologica universale, che fa appello al valore probatorio delle immagini e apre a una riflessione critica sul fotogiornalismo, sul suo potere mediatico e sulla sua collocazione nella storia culturale. Lavoie firma un saggio breve e intenso che si legge come un romanzo poliziesco e traccia un ritratto di Capa genuino e articolato, restituendone la fragilità di uomo malgrado la consacrazione come più grande fotografo di guerra al mondo.

Lascia un commento

qui