27 Marzo 2021 di Redazione Redazione

Gli scatti di Uliano Lucas e Gianni Berengo Gardin testimoniano come cambia la rappresentazione del rapporto tra l’architettura e l’uomo durante l’industrializzazione degli anni Sessanta e Settanta. Questo periodo storico ha portato in seno contraddizioni e grandi conflitti , criticità sociali, politiche ed economiche che si andavano a riversare sulla conformazione urbana e su come essa fosse vissuta dall’individuo e dalla collettività.

Ma la rappresentazione fotografica di questo rapporto dialettico non ha documentato solo ed esclusivamente le miserie dell’uomo e i vantaggi dell’industria capitalistica. Ha saputo mettere in luce anche le zone di interconnessione e di compenetrazione che hanno portato a una sorta di nuovo umanesimo  in architettura per opera di imprenditori illuminati.

Uliano Lucas

Nel raccontare visivamente l’individuo che manifesta per i propri diritti e le proprie rivendicazioni durante la fine degli anni Sessanta, Uliano Lucas ci mostra, in parallelo, quel mutamento che interessa il contesto urbano e abitativo. Non sono propriamente, le sue, delle fotografie d’architettura. Non è il dato architettonico il suo focus, in quanto l’interesse principale è l’architettura e il suo essere manifesto di un determinato periodo storico. Dunque, espressione di un contesto sociale in cui la città si manifestava come una realtà contraddittoria, dialettica, in movimento, in formazione (di nuova coscienza).

Quello che testimonia Uliano Lucas è la vita delle periferie, una vita precaria, al margine della società, dove i bambini scavavano buche nella terra con la stessa spensieratezza di una gita al mare. Alle loro spalle, casermoni e blocchi di cemento tutti uguali, dormitori di un sottoproletariato urbano che si era riversato nelle periferie fin dagli anni Quaranta.

Lucas ritrae l’uomo che viveva questa realtà e la sua dialettica con lo spazio urbano che gli stava attorno, con i suoi conflitti e le sue contraddizioni. Le architetture del territorio suburbano risultano spesso elementi disturbanti, creatori di disagio e simboli di un’urbanizzazione che puntava, sostanzialmente, a far sopravvivere l’uomo (senza farlo vivere pienamente).

In un’Italia di perenni conflitti e infuocata dalle contestazioni, esisteva anche un’isola felice simbolo di un “progresso buono”. Adriano Olivetti è stato un imprenditore illuminato, capace di alimentare un sogno attraverso un modello nuovo di fabbrica e di lavoro industriale.

Gianni Berengo Gardin

Se Uliano Lucas fotografa le contraddizioni in seno alla periferia con le sue soluzioni abitative stranianti, Gianni Berengo Gardin – chiamato da Olivetti a documentare il suo innovativo approccio alla catena produttiva  e la sua rivoluzionaria filosofia aziendale – ritrae, invece, un nascente dialogo armonioso tra l’uomo e i luoghi di lavoro e di abitazione.

berengo gardin

Stabilimento Olivetti di Marcianise, stampa ai sali d’argento su carta 1972. AASO, Fondo Gianni Berengo Gardin © Gianni Berengo Gardin Fondazione Forma

Anche per Berengo Gardin non si può certo parlare di fotografie d’architettura, ma di una ricerca dove al centro risiedeva l’uomo e la società. E così, eccolo a Ivrea a documentare il lavoratore dell’Olivetti e il suo vivere le architetture industriali degli stabilimenti. Mentre nelle immagini di Lucas si coglie una netta presenza di blocchi visivi contrapposti, di elementi che sussistevano senza comunicare tra di loro, creando un senso di estraniazione e di disagio, la lettura di quelle di Berengo Gardin, invece, risulta armonica e avvolgente, con un moto centripeto che ti riporta sempre al focus iniziale: la nuova filosofia antropocentrica di Adriano Olivetti. Non ci sono più vuoti architettonici da colonizzare, ma solo spazi a misura d’uomo.

di Francesca Orsi

 

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