Scomparso nel 1992, a soli quarantanove anni, Luigi Ghirri è considerato uno dei più grandi fotografi di paesaggio in Italia. A influenzare la sua ricerca fu, innanzitutto, il profondo legame con i luoghi della giovinezza, quella provincia emiliana che negli anni Sessanta, superati gli strascichi della guerra, era in piena ripresa economica e culturale. Agli anni Settanta risalgono le prime serie di fotografie, tra cui Kodachrome, Colazione sull’erba e Atlante. Curioso e attento ai cambiamenti, Ghirri interpreta la fotografia come uno strumento capace di guardare al cuore delle cose, di raccontare le trasformazioni del paesaggio italiano. Un paesaggio colto non nella sua dimensione più “spettacolare” ma in quella più intima, nascosta. Cominciano le collaborazioni con architetti, urbanisti, filosofi e, negli anni Ottanta, Ghirri si fa promotore di diverse iniziative che indagano le trasformazioni dell’ambiente contemporaneo, in bilico tra modernità e tradizione, innovazione e conservazione. Risale al 1980 la serie Iconicittà, mentre è del 1984 il progetto Viaggio in Italia, curato insieme con Gianni Leone ed Enzo Velati e considerato un manifesto della fotografia italiana. L’importanza della sua ricerca è riconosciuta anche all’estero: nel 1985 il Ministero della Cultura francese lo incarica di fotografare la Reggia di Versailles e, nello stesso anno, è invitato a lavorare per la sezione di architettura della Biennale di Venezia. Tra i suoi ultimi lavori vi sono le serie dedicate a Giorgio Morandi e Aldo Rossi.
Luigi Ghirri: la fotografia come mezzo per fissare il mutamento
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