Figura eclettica della fotografia contemporanea, Nausicaa Giulia Bianchi si trasferisce a New York nel 2010 per studiare fotografia all’ICP e dedicarsi agli studi filosofici e artistici. La sua ricerca fotografica prende origine da una formazione umanistica che le permette di indagare i temi della disobbedienza civile e del femminismo all’interno della Chiesa

16 Dicembre 2018 di Vanessa Avatar

Nausicaa Giulia Bianchi

Figura eclettica della fotografia contemporanea, Nausicaa Giulia Bianchi si trasferisce a New York nel 2010 per studiare fotografia all’ICP e dedicarsi agli studi filosofici e artistici. La sua ricerca fotografica prende origine da una formazione umanistica che le permette di indagare i temi della disobbedienza civile e del femminismo all’interno della Chiesa Cattolica con grande sensibilità e sapere scientifico. Gli argomenti principali della sua opera sono il sacerdozio femminile proibito e la ricerca di Dio nella Terra Santa. Ciascuna serie fotografica ha la capacità di superare i limiti della specificità tematica, consentendo una riflessione di ampio respiro sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale indirizzata alle più alte istituzioni politico-religiose.

Intervista a Nausicaa Giulia Bianchi

Nel 2010 riconosci nella fotografia lo strumento di comunicazione privilegiato delle tue riflessioni. Puoi spiegare com’è avvenuto questo incontro?
«Quando la fotografia è entrata nella mia vita, nel 2006, l’ha fatto attraverso un libro di storia della fotografia che mi era stato regalato. Quando successivamente ho comprato la mia prima macchina fotografica avevo l’intenzione di sostituire la scrittura, che era stato il mio medium prediletto, con uno strumento meccanico, nella curiosa speranza che attraverso la pura osservazione e l’obbligo di interagire nel mondo, la fotografia potesse portarmi oltre  quello che credevo di sapere, in un luogo che sta prima delle mie stesse parole. Ero sicura che l’esperienza fotografica potesse essere per me una grande maestra di vita».

Con Hai dato alla Vergine un cuore nuovo sollevi la questione del sacerdozio femminile proibito. In cosa consiste esattamente il soggetto della tua ricerca?
«Nell’estate del 2002, sette donne cattoliche sono state illecitamente ordinate sacerdote. Da allora, molte celebrazioni analoghe sono state tenute dall’RCWP (Roman Catholic Womenpriests ), un gruppo di suffragette che usa il meccanismo  della disobbedienza civile nella Chiesa cattolica, in favore dell’ordinazione delle donne. Oggi il movimento conta più di 215 donne sacerdote e 10 vescovi in tutto il mondo. Chiunque partecipi incorre in una scomunica automatica. È considerato un peccato tale da meritare la pena che si dà ai pedofili, in pratica uno dei crimini più gravi che si possano commettere contro la Chiesa. Dal 2012, ho incontrato più di 70 donne prete. Le ho fotografate e intervistate, ho esplorato il loro passato attraverso le immagini della loro vita precedente, ho condiviso per qualche settimana la loro quotidianità. Se da una parte propongo una documentazione puntuale di tipo giornalistico, la vera sfida per me è stata quella di dipingere la tensione psicologica e mistica di queste donne, creando delle immagini concettuali che cercassero di parlare, tra le altre cose, del divino nella donna e della donna nel divino».

In quali progetti sei ancora impegnata? E cosa ti aspetta nei prossimi mesi?
«Il progetto Hai dato alla Vergine un cuore nuovo (www. donneprete.org) non è ancora terminato. Sto cercando donazioni per visitare le donne prete che vivono in Europa e Sudafrica e per poter successivamente pubblicare un libro su questo tema. In questi anni, per approfondire la mia ricerca sulla spiritualità, ho lavorato in parallelo ad altri progetti come per esempio Una geografia minore della Terra Santa. Questo è un progetto a cui tengo in particolar modo; mi ha sempre colpito la contraddizione tra la sincera passione spirituale e l’odio umano che circondano un territorio che ben tre religioni definiscono santo. Guardo Israele e la Palestina come un microcosmo; il mio obiettivo è di tentare di raccontare, attraverso una serie di storie e di immagini iconiche, la complessità della natura umana, proprio là dove il senso del divino è più forte, quasi palpabile a ogni angolo. In questo senso, è un progetto fotografico di sapore biblico, direi abramico».

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