14 Ottobre 2020 di Giada Storelli Giada Storelli

Luca Santese, Ed Alcock e Rocco Rorandelli sono rispettivamente tre rappresentanti dei collettivi Cesura, Myop e TerraProject, tra i più influenti della contemporaneità europea. Tra progetti, incertezze e cambiamenti, cercheremo di comprendere insieme a loro lo stato e i temi del fotogiornalismo indipendente.

Un salto alle origini

Fred Ritchin, direttore fondatore del Documentary Photography and Photojournalism Program della International Center of Photography (ICP) di New York, in un suo intervento riguardo le origini e le intenzioni dei fondatori dell’agenzia Magnum, ha spiegato che «questi crearono l’agenzia per potervi rispecchiare la propria natura indipendente, come individui e come fotografi. Quel peculiare incontro tra reporter e artista che continua ancora oggi a definire Magnum, caratterizza non solo ciò che si vede, ma anche il modo in cui lo si vede». L’obiettivo dei quattro padri fondatori (Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, David “Chim” Seymour, George Rodger) era quello di creare la prima cooperativa di fotografi con lo scopo di mantenere il possesso del copyright delle loro immagini (non cedendolo ai giornali) e gestendo in questa maniera la propria produzione, come e per chi lavorare, e preservando la loro libertà di espressione sia nella scelta dei contenuti che nel loro aspetto formale.
Oggi la nostra società è profondamente mutata rispetto a quel lontano 1947. Sebbene sia rimasta, in parte rafforzata, quella stessa urgenza di raccontare attraverso le immagini le storie del nostro presente, la modalità e la condivisione di queste sono state del tutto rivoluzionate negli ultimi vent’anni. Se nel Novecento la narrazione del mondo era affidata a reporter professionisti – gli associati di Magnum hanno documentato, per esempio, il dramma della guerra in Vietnam, le rivolte di Piazza Tien An Men in Cina e le condizioni sociali dei minatori di Kami –, oggi i nostri smartphone collegati a Internet danno la possibilità a chiunque di essere testimone attivo dei grandi eventi. Cos’è allora che, nel racconto di cronaca, fa la differenza tra la testimonianza di un avventore e coloro che ancora oggi guardano al reportage professionale come a una missione? Quali sono i temi, al di là della cronaca, che raccontano veramente l’epoca in cui viviamo?
Qual è il ruolo del fotografo nella ricostruzione del complesso puzzle che è la nostra contemporaneità?

©L. Santese, M.P. Valli, Realpolitk, Cesura

©L. Santese, M.P. Valli, Realpolitk, Cesura

E oggi?

Parte dell’eredità di quei valori di libertà espressiva, di confronto e di salvaguardia della pluralità di sguardi che mossero i padri della Magnum possiamo riscontrarla nei diversi collettivi fotografici sorti negli ultimi anni, composti per lo più da giovani fotografi che spesso sentono la necessità di prendere le distanze dalle dinamiche delle redazioni giornalistiche per intraprendere un percorso più libero e indipendente, ma certamente più complesso. Tra i nomi dei collettivi più consolidati del panorama nazionale e internazionale troviamo quelli di Myop con sede a Parigi e i collettivi Cesura e TerraProject in Italia. Rocco Rorandelli è uno dei membri di TerraProject insieme a Michele Borzoni, Simone Donati e Pietro Paolini. «Siamo insieme dal 2006 – racconta Rorandelli –. Sin da subito ci siamo interessati alla modalità della scrittura collettiva, realizzando nel tempo numerosi lavori di gruppo sia in Italia che all’estero. L’attenzione è da sempre concentrata al contenuto giornalistico e all’approccio stilistico. I nostri progetti diventano libri, mostre e pubblicazioni giornalistiche. Naturalmente ogni fotografo porta avanti anche una propria linea di ricerca individuale. Il collettivo è una piattaforma di confronto, supporto e scambio che ci sostiene nel tempo».

Questa linea di condivisione, alla base di una forte libertà espressiva e di ricerca di cui ogni singolo componente può godere, costituisce uno degli aspetti fondamentali che definiscono le varie identità dei collettivi. «Per me la forza del collettivo risiede nei nostri differenti approcci alla fotografia documentaria – spiega al telefono Ed Alcock, uno dei componenti di Myop –. I nostri fotografi attingono da un’ampia gamma di stili e influenze. Trovo sempre affascinante confrontarmi con gli altri membri, in particolare con quelli che hanno uno stile diverso dal mio, per poter imparare dalla loro esperienza e condividere le difficoltà. Oltre alla fotografia, sono anche i nostri progetti di collaborazione, le pubblicazioni e le mostre a distinguere il collettivo in Francia e all’estero». Nata nel 2005 da un’idea di Guillame Binet e Lionel Charrier, Myop è una delle cooperative fotografiche più attive in Europa che da quindici anni si occupa di documentare gli aspetti politici, sociali e ambientali della nostra contemporaneità grazie ai suoi diciannove membri.

©Rocco Rorandelli, Fragile Schools, Terraproject

©Rocco Rorandelli, Fragile Schools, Terraproject

Cesura si muove nel campo della fotografia documentaria e di ricerca visiva in ambito artistico. Arianna Arcara, Luca Baioni, Alex Majoli, Gabriele Micalizzi, Andy Rocchelli, Alessandro Sala e Luca Santese, sebbene provengano da percorsi formativi diversi dove hanno coltivato una propria identità, hanno dato vita nel 2008 al collettivo facendo della diversità degli sguardi, unita a una particolare attenzione ai contenuti, uno dei maggiori tratti distintivi. Ciò che li accomuna è l’esperienza da assistenti presso lo studio di Alex Majoli, fotografo dell’agenzia Magnum, nel quale hanno ritrovato quello stesso spirito di bottega che permette al maestro di tramandare le proprie esperienze e conoscenze all’allievo in un clima di continuo confronto. Luca Santese, uno dei fondatori, ci ha spiegato che «i cardini di Cesura sono tre: qualità, integrità e indipendenza. Sin dall’inizio il collettivo si è organizzato cercando di essere il più indipendente possibile, creando un laboratorio di stampa, una casa editrice per produrre i progetti, facendo noi stessi l’editing dei lavori per mostrarli come meglio crediamo. Tutto questo è sempre in funzione del mantenimento di un’alta qualità del lavoro, sia dal punto di vista fotografico che dei con- tenuti». Uno dei progetti più rilevanti a cui Santese ha lavorato negli ultimi anni è Realpolitik, un reportage di lungo corso diviso in cinque capitoli e realizzato a quattro mani con Marco P. Valli sulla politica italiana – ne abbiamo parlato qui, ndr. Il progetto si compone di ritratti critico/satirici dei politici italiani in contrapposizione alla loro autorappresentazione veicolata principalmente sui loro canali social ufficiali.

Di altro genere è il progetto Fragile Schools di Rocco Rorandelli, una mappatura sullo stato in cui riversano le strutture che accolgono le scuole italiane. Un tema certamente molto attuale, viste ancora le gravi difficoltà nel riorganizzare le aperture degli istituti post pandemia. «I recenti censimenti mostrano come la maggior parte degli edifici scolastici italiani non rispettano le attuali norme antisismiche. Con Fragile Schools ho voluto raccontare queste fragilità strutturali, cui spesso si abbinano anche altri tipi di difficoltà legate al contesto e alla didattica, ma anche i nuovi aspetti sorti durante il lockdown della scorsa primavera».

©Rocco Rorandelli, Fragiles Schools, Terraproject

Il teatro nell’istituto alberghiero E.V. Cappello di Piedimonte Matese. La scuola presenta problemi di inflitrazioni di acqua nella palestra.

Come per molti altri aspetti della nostra società, il mondo del fotogiornalismo è sottoposto a numerosi e rapidi cambiamenti legati in parte anche al destino della stampa tradizionale e ai nuovi canali di comunicazione. La scommessa del futuro è comprendere quali saranno e come si adatteranno le storie e le modalità espressive della documentazione fotografica nel cercare di adeguarsi alle mutevoli forme di informazione, sia digitali che cartacee, «continuando ad indagare il reale e a sperimentare forme espressive, sinergie e collaborazioni sempre nuove», come aggiunge Rocco Rorandelli. L’augurio che invece Luca Santese si fa è di vedere nel tempo «una fotografia che sia pensante, critica e che non guardi agli eventi come semplici fatti da documentare in maniera didascalica, ma che li osservi con uno sguardo critico, dove il fotografo sia capace di interpretare e comprendere il proprio tempo sia sul piano culturale che artistico».

di Giada Storelli

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