8 Giugno 2019 di Vanessa Avatar

L’iraniana Shirin Neshat è oggi una delle artiste più rappresentative nel testimoniare le condizioni sociali delle donne nella cultura islamica. Artista, fotografa e regista, si trova negli Stati Uniti quando lo Scià viene messo in fuga da una rivolta popolare e Khomeini torna dall’esilio. Il suo impegno artistico ha inizio con Women of Allah (1993-1997), una serie fotografica in bianco e nero di ritratti di donne con il chador e il fucile. La sua ricerca artistica la porterà poi verso il video e, in seguito, a esplorare l’arte del cinema. Le sue opere, di grande intensità emotiva, riescono a fondere assieme diversi linguaggi e culture, ma ancora oggi non possono essere mostrate nel suo Paese d’origine.

Shirin Neshat: artista, fotografa e regista

Shirin Neshat, dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti in Iran, dal 1975 è a Berkeley per specializzarsi in Filosofia. Mentre è negli Stati Uniti vede il suo Paese cambiare: la fuga dello Scià e il ritorno nel 1979 dell’ayatollah Khomeini da Parigi. Viene instaurata la sharia e tutti gli iraniani che avevano lottato per un cambiamento in senso democratico, passano dalla speranza al terrore della repressione fondamentalista. Da allora, l’artista si troverà, suo malgrado, in esilio. Rientrerà in Iran solamente nel 1990, scoprendo la sua nazione così cambiata da non riconoscersi più in quella società terribilmente provata dalla rivoluzione e dalla guerra con l’Iraq durata otto anni. Troverà soprattutto la condizione di vita delle donne del suo Paese compromessa da un maschilismo ancora più ottuso e violento che nega anche il loro corpo e che la spinge a prendere, con le sue opere, una posizione politica e civile. Proprio per questo inizia a fotografare soprattutto donne, dando così vita a Women of Allah , una serie di ritratti fotografici di donne che imbracciano dei kalashnikov. Su quei pochi dettagli del loro corpo lasciati scoperti dal chador, Shirin Neshat scrive a mano versi di poesie iraniane. Lo sguardo dell’artista trasforma queste donne in icone combattenti e sensuali, lasciando intendere che non  si arrenderanno tanto facilmente. Con queste opere, esposte nei più importanti musei del mondo, Shirin Neshat conquista la critica internazionale e anche il divieto di tornare nel proprio Paese. Nel 1997 l’artista inizia a lavorare con il video traendo dai fotogrammi delle stampe fotografiche di grande formato. Nel 1998 realizza Turbolent , un’opera composta da due video proiettati simultaneamente su due pareti opposte. A essere contrapposte sono l’immagine di un uomo che canta in un teatro affollato e quella di una donna che canta in un teatro vuoto. È un’opera che si ispira al divieto per le donne iraniane di esibirsi in pubblico. La protagonista di Turbolent  è Sussan Deyhim, anch’essa in esilio e da allora collaboratrice fondamentale per l’artista. Grazie a Turbolent , Shirin Neshat nel 1999 vince il Leone d’Oro alla Biennale d’Arte di Venezia. Questo lavoro sarà il primo di due trilogie distinte in due video contrapposti e ispirate al conflitto di genere nella società islamica. La Neshat, ricorrendo sempre più alla messa in scena, arriverà al cinema con il suo primo film Donne senza uomini (2009) conquistando il Leone d’Argento per la miglior regia al Festival del Cinema di Venezia. Il film, girato a Casablanca e tratto dal romanzo denuncia della connazionale Shahrnush Parsipur, racconta la storia di quattro donne che cercano di resistere alle restrizioni della famiglia e della società mentre sullo sfondo si consuma il golpe del 1953, quando la CIA riuscì a scacciare il premier Mossadeng per reinsediare lo Scià. In quell’occasione, moltissime furono le donne iraniane che scesero in strada per protestare. Mentre continua il suo lavoro fotografico e di video d’arte, Shirin Neshat è chiamata nel 2013 a partecipare con un suo cortometraggio al film collettivo Venice 70  per celebrare, con i maggiori registi viventi, i settant’anni del Festival Cinematografico di Venezia. Per questa occasione la regista monta insieme alcune inquadrature tratte da La Corazzata Potëmkin (1925) e da  Ottobre (1928) di Sergej M. Ejzenstejn. Nel 2017, dopo sei anni di interviste e ricerche, presenta al Festival di Venezia il suo secondo film dal titolo Looking for Oum Kulthum: la regista Mitra, alter ego di Shirin Neshat, cerca di realizzare un film sull’egiziana Oum Kulthum, la cantante più importante del mondo arabo del XX secolo e adorata da sciiti e sunniti, poveri e ricchi. In  Looking for Oum Kulthum la regista guarda alla grande cantante per capire cosa significa essere una donna artista e avere successo in una società di uomini – e a quale prezzo –. Attualmente Shirin Neshat sta preparando il suo terzo lungometraggio che sarà dedicato alla storia di una giovane iraniana negli Stati Uniti

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