11 Marzo 2020 di Redazione Redazione
L’autrice utilizza la macchina fotografica come un amo con cui catturare e riportare alla luce quello che la storia ha voluto velare con lo strato polveroso del tempo. Con i suoi progetti ridona lucentezza e nitidità a racconti sbiaditi e posti in secondo piano, conferendo una voce ai personaggi che li abitano. Nelle sue immagini parlano i soggetti, dotati di nuova espressione, ma anche i paesaggi, i dettagli degli interni, i vestiti e ogni elemento che compare all’interno del frame fotografico.

Sia con Sin Hombre che con Le donne di Picasso insceni delle storie di vita. Per ora si è trattato di storie di donne. È un caso o ti sei consapevolmente focalizzata su ambientazioni al femminile? «Ho una grande sintonia con le donne e sono sempre stata attratta dalle loro storie, come anche nei ritratti prediligo scattare figure femminili. Il vero focus del mio lavoro è, in realtà, lo scovare ciò che è stato taciuto e le personalità che la storia ha voluto tacere, senza voler per forza sottolineare una distinzione di genere»
Cosa ti ha attratto delle storie di queste donne? «Per Le Donne di Picasso sono stata incuriosita dalle figure che hanno influenzato la vita privata e artistica di Pablo Picasso. Come diceva Virginia Woolf, «dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna». In questo caso sono otto le donne che hanno accompagnato il pittore nella vita e nel lavoro. In Sin Hombre – la storia di Elisa e Marcela, le prime donne a essersi sposate in chiesa – ho voluto sottolineare il loro coraggio. Per amore, era il 1901, hanno sfidato la società riuscendo a ingannare l’istituzione ecclesiastica, la quale a oggi non ha annullato il loro matrimonio».
Dora Maar. Cristina Vatielli

Dora Maar. © Cristina Vatielli. Henriette Theodora Markovic fu una fotografa indipendente e anticonformista. Incontrò Picasso nel 1936 e testimoniò con i suoi scatti la produzione di “Guernica”. Il pittore riuscì a distoglierla dalla fotografia, dove era molto conosciuta, e la spinse alla pittura. Vivendo nell’ombra di Picasso, Dora cadde in una grande depressione. Picasso stesso la definisce la donna più intelligente e ironica, nonostante la ritrasse sempre come la donna che piange. Quando il pittore la lasciò, Dora ebbe un esaurimento nervoso che la costrinse ad una serie di elettroshock. Dopo il ricovero, trovò conforto nella religione fino alla sua morte (1997). Disse: “Dopo Picasso c’è solo Dio”.

In entrambi i lavori si evidenzia uno stile personale.Da dove attingi il tuo modo di fotografare? «Quando frequentavo la scuola di fotografia il mio interesse era di ricostruire le scene dei film che maggiormente mi ispiravano. Poi il percorso lavorativo si è spinto più verso il reportage avendo avuto la fortuna di incontrare Paolo Pellegrin e di assisterlo per anni nel suo lavoro. Il reportage quindi è stato il linguaggio predominante, ma poi nei progetti personali l’amore per il cinema e per la storia dell’arte mi hanno portato a cambiare nuovamente modo di raccontare le cose, non più cogliendo il momento, ma immaginandolo e ricreandolo. Con Sin Hombre, ho sentito la necessità di unire i due percorsi, quello del reportage con quello della fotografia staged, adottato invece per Le Donne di Picasso».
Come sei venuta a conoscenza della storia di Elisa e Marcela? «Mi piace molto fare ricerche, principalmente sui libri, ma anche in internet. Per caso ho scoperto il sito Enciclopedia delle donne e tra le varie storie mi sono imbattuta in quella di Elisa e Marcela che mi ha subito colpita. In seguito, ho trovato il libro di Narciso De Gabriel Elisa y Marcela, más allá de los hombres, scritto in spagnolo, che ricostruisce la loro storia nel dettaglio con documenti d’archivio e testimonianze».
Come hai deciso di procedere per la produzione di questo lavoro? «Realizzando Le Donne di Picasso ho consolidato il rapporto professionale e personale con Lisangela Sabbatella, costumista di cinema, e Simona Marra, truccatrice e scenografa. Con loro si è consolidata una stima reciproca e un amore comune per i progetti che realizziamo insieme. Non essendoci budget hanno sposato la causa seguendomi in queste avventure con passione e professionalità. Per Sin Hombre ho avuto anche la fortuna di avere accanto Nunzia Pallante, una giovane fotografa che da due anni mi segue nel lavoro. Un altro elemento chiave è stato avere il supporto di Fujifilm Italia che mi ha dato la possibilità di utilizzare la GFX 50S, un medio formato molto maneggevole con il quale è possibile muoversi liberamente come nel reportage, ma allo stesso tempo di scattare immagini molto definite anche in situazione di luce scarsa».

In Sin Hombre le due donne sono fagocitate da ambientazioni cupe, una natura che le mantiene nell’oscurità come degli animali notturni. Quanto c’è della tua personale interpretazione della storia e quanto hai voluto mantenere fede alla veridicità dei fatti?«Mentre ideavo il progetto e programmavo lo shooting per il mese di febbraio del 2019, ho scoperto che contemporaneamente Netflix stava producendo un film su Elisa e Marcela. Questo mi ha portata a non voler raccontare le loro vicende in maniera didascalica, immaginando che lo avrebbe fatto il film, ma di cogliere i momenti salienti e le emozioni che hanno segnato la loro storia».
Quali sono i tuoi riferimenti fotografici? «Fin dagli inizi, ho sempre avuto una grande attrazione per il lavoro di messa in scena di Cindy Sherman. Nel corso degli anni sono stata influenzata dal lavoro di Pellegrin e seguendolo ho avuto la possibilità di conoscere professionisti come Stanley Greene e molti fotografi della Magnum. Alcuni di loro mi hanno ispirato sia umanamente che fotograficamente. Nel tempo mi sono appassionata ai lavori di Gregory Crewdson, Tim Walker, Kourtney Roy e Julia Fullerton».
Racconterai qualche storia anche al maschile? I prossimi progetti? «È il mio obbiettivo. Vorrei riuscire a staccarmi dalla dimensione femminile, dalla questione di genere, per concentrare il messaggio più sulla storia».
 

Cristina Vatielli

Cristina Vatielli

© Ilaria Di Biagio


Romana di nascita, dopo essersi diplomata alla Scuola Romana di Fotografia nel 2004, inizia a lavorare come assistente di Paolo Pellegrin. Negli anni si specializza nella post- produzione delle immagini, collaborando con diversi fotografi di fama internazionale. Intraprende in seguito un suo percorso di ricerca personale con un approccio storico- documentario avvalendosi, in alcuni casi, della messa in scena di eventi e personaggi. Ha collaborato con le maggiori testate italiane e internazionali. Alcuni dei suoi lavori hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti. Si ricordano il Sony Awards, il Prix de la Photographie Paris, l’International Pho- tography Awards, il Julia Margaret Came- ron Award. È rappre- sentata dalla Galleria del Cembalo (Palazzo Borghese, Roma).

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