2 Marzo 2020 di Redazione Redazione

A che età si diventa troppo vecchi? Nel caso di Michel d’Oultremont, a ventisette anni! Per quanto possa sembrare incredibile, per Michel questo compleanno ha rappresentato un punto di svolta nella sua breve carriera di fotografo naturalista. Compiere ventisette anni ha significato, infatti, diventare troppo vecchio per partecipare alla sezione Rising Star Portfolio Award del prestigioso Wildlife Photographer of the Year del Natural History Museum di Londra. Quella sezione è aperta ai fotografi dai diciotto ai ventisei anni, che devono proporre un portfolio di sei immagini, e Michel l’ha vinta due volte. La prima è stata nel 2014 con una raccolta di scatti realizzati nelle pianure agricole di Belgio e Paesi Bassi. Il secondo successo è arrivato quattro anni dopo, nel 2018, quando ha presentato un’altra serie di sei immagini, tutte (tranne una) realizzate in quella piccola fascia d’Europa che è stata casa sua e il terreno di caccia fotografica di tutta la vita. Il suo successo è un ulteriore prova del fatto che le immagini migliori sono spesso scattate in ambienti familiari: richiedono frequenti ritorni, conoscenza intima, competenza del territorio e un livello di comprensione profondo.
Con l’età arriva anche la maturità e Michel oggi ha esteso i suoi orizzonti oltre le coste europee, spostandosi verso continenti distanti per dedicarsi a commoventi ed eleganti studi di animali in ambienti innevati. Non è più una stella emergente, ma la sua nuova carriera professionale è sicuramente decollata e non accenna a fermarsi…

Michel, che cosa è venuto prima, l’amore per la natura o quello per la fotografia? Senz’ombra di dubbio l’amore per la natura. Da bambino ero appassionato di ornitologia e ho cominciato a osservare gli animali con un vecchio binocolo quando avevo dodici anni. La fotografia è arrivata dopo, intorno ai quindici anni.

La tua fotografia si è molto evoluta in questi anni. Quali sono stati i cambiamenti più profondi nel tuo modo di lavorare? All’inizio volevo creare solo immagini con gli animali al loro meglio. Presto però ho iniziato a mostrarli nel loro ambiente e ho sperimentato con nuove inquadrature per esibire un altro aspetto della natura. È stato da quel punto in poi che la mia fotografia è cambiata in una direzione più estetica e un po’ meno naturalistica.

Come ti prepari per una tipica sessione fotografica? In realtà, a livello di equipaggiamento non preparo poi tanto. Per me tutto dipende dall’osservazione, quindi vado in luoghi che conosco molto bene e passo un sacco di tempo a studiare la natura con il binocolo. Questa è la parte essenziale! Seguire e capire i soggetti è tutto in questo genere fotografico. Il tempo investito in ricerca permette di conoscere gli animali, le loro abitudini, i comportamenti e i movimenti. Ovviamente, è fondamentale fare tutto senza disturbarli.

Puoi raccontarci qualcosa della sequenza dello scontro tra i due buoi muschiati? Dove è stata scattata e quanto è stato difficile realizzarla? Ho assistito alla battaglia dopo otto giorni sul campo, nel pieno dell’inverno, nel cuore del Parco Nazionale norvegese di Dovrefjell–Sunndalsfjella. Provate a immaginare un deserto bianco che si estende a perdita d’occhio, senza tracce di vita a parte quelle di qualche bue muschiato o pernice bianca. Sono rimasto tutto il tempo con questo gruppo di maschi. Questi due erano i più potenti, i più forti. Per tutto il tempo che ho passato con loro sono stati molto calmi, ma l’ultimo giorno l’atmosfera tra questi due grossi maschi si è fatta tesa, quasi elettrica. Hanno cominciato a strofinare le teste e, mentre i minuti passavano, hanno continuato a farlo con più forza. Infine è arrivato questo momento in cui entrambi si sono mossi, sono arretrati di una trentina di metri e poi si messi a correre, diritti uno contro l’altro! Io ho solo esposto una raffica di inquadrature con la 5D Mark III e un obiettivo EF 500mm f/4. Quando si sono colpiti l’urto dell’impatto è stato terribilmente violento, è echeggiato per tutta la valle. È stato un momento incredibile.

Michel d'Oultremont foto

Battaglia tra buoi muschiati, Norvegia © Michel d’Oultremont

Buona parte della tua fotografia si concentra su progetti e luoghi specifici. Su cosa stai lavorando adesso e cosa hai in programma dopo? Ho appena concluso un progetto su Hokkaido, con la pubblicazione di un libro autoprodotto. Nell’immediato futuro seguirò alcuni eventi di presentazione, ma sto già pensando alla prossima serie. Ho un sacco di idee e dovrò fare un po’ di selezione per scegliere quella giusta…

Sei passato alla carriera professionale solo tre anni fa. Nessun rimpianto? Rimpianti? Assolutamente no, neanche mezzo! Devo ammettere che è stato un percorso arduo, ma oggi faccio esattamente quello che ho sempre voluto fare. Non è facile, certo, non voglio negarlo. Vivere di fotografia naturalistica non è la cosa più semplice del mondo, ma tengo duro e cerco di tenere vivo il mio sogno.

Quale consiglio daresti a chi volesse passare alla fotografia naturalistica professionale? Fate scorta di tenacia, non badate troppo alle critiche e seguite la vostra strada. Fidatevi di voi e impegnatevi sempre al 100 per cento sui vostri progetti.

Michel d’Oultremont

Michel d'Oultremont

Da quando ha cominciato a fotografare, a quindici anni, Michel d’Oultremont si è rapidamente affermato come uno dei principali naturalisti europei. Meno di dieci anni dopo il primo scatto, aveva già vinto due tra i più importanti premi per giovani fotografi emergenti: il GDT Fritz Polking Prize e il Rising Star Portfolio Award del concorso Wildlife Photographer of the Year. Michel trae molta ispirazione dalle aree naturali del Belgio, soprattutto dalle Ardenne, dove ha realizzato diverse delle sue immagini premiate. Passato alla carriera professionale poco più di tre anni fa, nel 2016, oggi, a ventisette anni, ha già pubblicato tre best-seller: Rencontres (esaurito), Yellowstone e Hokkaido. Le sue opere sono state esposte in festival e gallerie di tutta Europa, oltre che presso la sede del Parlamento Europeo a Bruxelles.

 
 

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