26 Marzo 2020 di Redazione Redazione
Una piccola conchiglia è stretta tra due gambe opulente, accoglienti, quasi protettive. La sua forma è incastonata come una pietra preziosa e in quel pertugio fatto di pelle la sua fragilità, in opposizione alla possente materia umana attorno a lei, diventa la sua forza. La spirale in natura è da sempre simbolo di perfezione. Stefania Mattioli con il suo corpo gioca per contrasti. In una società che ancora non riesce a trattare serenamente le curve pronunciate di un corpo formoso, lei, con Obesa, ne parla in maniera semplice e poetica. Le sue immagini invitano a un’osservazione diversa dal solito cliché.

Quando e come hai deciso di iniziare Obesa? «Obesa è stato il mio progetto finale per il diploma alla Fondazione Studio Marangoni. È stata la conclusione di un percorso di studi che mi ha insegnato a non temere di utilizzare la fotografia come racconto personale. Non riuscivo a riconoscere il mio corpo nella fotografia contemporanea. Vedevo corpi femminili che non mi assomigliavano elevati a simbolo di femminilità e quelli obesi fotografati come elemento grottesco, così ho deciso di raccontare l’obesità attraverso la mia voce, attraverso la fotografia di messa in scena. Optare per questa tipologia di racconto fotografico è stata quasi una scelta obbligata perché oltre a essere la mia preferita, mi permette il pieno controllo dell’immagine e la possibilità di lasciare al suo interno piccoli messaggi. Il progetto fotografico è cresciuto e si è sviluppato in parallelo ai miei studi sul femminismo contemporaneo e il body positive».

Nudo con fiori

“Nel linguaggio dei fiori la calla significa per favore amami”

Hai condotto questo progetto per raccontare qualcosa di molto personale, ma il tuo volto non lo ritrai mai. È il tuo corpo a essere protagonista, sempre affiancato a oggetti che portano a una lettura ironica e leggera. Quasi come un’arma di difesa. Perché«Ho cercato di rendere il mio corpo distante come una natura morta, con colori e oggetti piacevoli allo sguardo in modo da avvicinare lo spettatore. Ho fotografato pezzi del mio corpo basandomi su luci e volumi, unendo colori delicati e una composizione elegante. È sia un’arma di difesa che una piccola trappola: il mio modo per allontanare la vergogna e avvicinare lo spettatore. Obesa non parla di me, ma del vasto mondo interiore di chi vive in un corpo considerato diverso».
A che punto la tua esigenza personale si è tramutata in arte? «Sono grata di aver conosciuto e studiato questo linguaggio perché è diventato la mia voce e il mio diario personale. Sono schiva di natura, ma ho un mondo variopinto nella testa, cerco di trasformarlo in fotografia studiando i dettagli delle mie messe in scena. Lo scatto è sempre un momento catartico. All’inizio era solo uno sfogo, poi ho imparato a riconoscere il valore terapeutico del tradurre le sensazioni in immagini».
Secondo te le due cose si possono scindere? «Cartier Bresson diceva che le fotografie si fanno con gli occhi, con il cuore e con la testa. Non credo ci sia niente di più vero. Gli scatti rivelano tanto del fotografo. Sono gelosa e protettiva nei confronti delle mie foto perché le considero parti di me. Trovo che l’autenticità di una storia veramente vissuta e sentita accresca il valore del racconto fotografico. Io vivo l’arte e la motivazione personale come inscindibili».
Come dialogano con il tuo corpo gli oggetti che hai usato? «Gli oggetti sono stati scelti o creati da me. Mi piace pensarli come autoritratti. Spesso il corpo obeso è dileggiato come se non fosse umano, come un oggetto. Da quando sono io ad avere il potere di raccontarmi posso scegliere quelli che mi sono più affini e in cui mi riconosco».

Ci sono dei fotografi di riferimento che hanno ispirato la tua opera? «Haley Morris-Cafiero con Wait Watchers è stata la prima fotografa a parlare di obesità in modo tale da potermi riconoscere. Si è fotografata in strada, sulla spiaggia, nei luoghi più turistici, catturando lo sguardo di scherno che le rivol- gevano i passanti. È riuscita a raccontare cosa significa essere obesi con una semplicità disarmante e allo stesso tempo forte come un pugno allo stomaco. Il suo esempio mi ha aiutato a trovare il coraggio a mettermi in gioco. Penso anche a Elina Brotherus, alla delicatezza e all’eleganza che mette nei suoi personali racconti fotografici. Alle tematiche universali, come la ricerca dedicata a un figlio o al divorzio. Queste sono donne artiste che si raccontano con onestà».

“Se le mie braccia sembrano ali, allora posso avere delle piume meravigliose”


C’è un forte approccio estetico nel tuo modo di fotografare. Al di là della tematica, pensi che perseguirai su questa strada? «Sì, nonostante apprezzi molto la fotografia reportagistica riconosco che il mio linguaggio è la fotografia di messa in scena. Sento di potermi esprimere pienamente già dalla costruzione dell’immagine. Il processo di pre-visualizzazione è una componente molto forte nel mio lavoro e questo include lo studio del colore e della composizione. Nelle mie immagini metto tutto quello che ho studiato e cosa mi porto dentro».
Lavori futuri? «Sto lavorando al seguito di Obesa, raccontando del mio intervento di chirurgia bariatrica, una riduzione di stomaco e intestino per facilitare il dimagrimento. Voglio raccontare il mio corpo in mutamento, la mia femminilità e la mia identità. Per fortuna esiste la fotografia a contenere i miei pensieri».
Proseguirai il progetto Obesa sempre seguendo uno stile staged? «Continuerò Obesa con il linguaggio della messa in scena perché è quello che mi rispecchia di più e che mi permette un totale controllo nella narrazione. Posso così trattare l’argomento in maniera più ironica e delicata, nonché rappresentare tutte le sensazioni che provo verso il mio corpo in cambiamento».
testo di Francesca Orsi

Stefania Mattioli

Stefania Mattioli
Nata a Prato nel 1986, vive a Firenze, ma vorrebbe essere sempre in viaggio. La fotografia è una delle sue più grandi passioni – seguono i libri, l’arte e la natura– e una ragione di vita. Immergersi nell’obiettivo e scattare è ciò che le permette di rivelare la visione del mondo. Con la fotografia cerca di unire le emozioni alla composizione dell’immagine. È uno studio e una sfida a migliorarsi sempre.

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