Chiara Samugheo, la fotografa della Dolce Vira, con una rara capacità di narrazione associata alla profondità di sguardo.

7 Giugno 2021 di Redazione Redazione

Chiara Samugheo passerà alla storia per esser stata la fotografa delle stelle, lei che una stella avrebbe potuto esserlo senza sforzo, per avvenenza e spiccata personalità. Sarà ricordata per aver immortalato in scatti di selvaggia bellezza le attrici della Dolce vita.

Oggi come allora, l’attenzione della società si rivolge verso lo spettacolo, l’effimero, il sensazionale. Si insegue il sogno, il pettegolezzo, l’illusione, assecondando la curiosità e il bisogno d’evasione. Non che le fotografie di copertina realizzate dalla Samugheo tra gli anni Cinquanta e Sessanta non siano degne di nota. Al contrario, ci restituiscono la forza delle donne dell’epoca, la loro presenza scenica e capacità camaleontica, ben al di là della prestanza richiesta dallo sguardo maschile dei fotografi-voyeur.

Claudia Cardinale, Sophia Loren, Silvana Mangano, Monica Vitti, Brigitte Bardot… tutte le interpreti più carismatiche sono passate dinanzi all’obbiettivo della Samugheo. I divi del cinema l’hanno cercata con insistenza per la sua capacità unica di esaltare il temperamento di ciascuno, creando immagini originali e prive di artificiosità.

Eppure Chiara Samugheo inizia a fotografare attori e registi quasi per caso, quando, inviata a Venezia dal direttore della rivista Cinema Nuovo per investigare sui costi della Mostra del Cinema, si diletta a ritrarre le star, realizzando un meraviglioso scatto di Maria Schell, che le varrà numerosi altri incarichi.

Esiste un’altra faccia del lavoro dell’autrice di origine barese, quella che segna l’inizio della sua carriera e che precede i riconoscimenti e gli apprezzamenti della maturità. Si tratta della ricerca perseguita con animo battagliero e che affida alla fotografia la possibilità di sollevare interrogativi sulle miserie dell’uomo e sulle contraddizioni di un Paese in fase di ricostruzione, com’era l’Italia all’indomani della Seconda guerra mondiale.

Chiara Samugheo: la fotografa che andò incontro al proprio destino

La Samugheo trova fortuna nella Milano del 1953. Si trasferisce giovanissima con l’intenzione di vivere un destino diverso da quello che l’avrebbe attesa se fosse rimasta in Puglia, dove, in quegli anni, il futuro di una donna si definiva col matrimonio. Fugge da convenzioni e visioni restrittive per andare incontro al proprio destino.

All’epoca Milano accoglieva intellettuali, artisti, giornalisti e scrittori illuminati come Pier Paolo Pasolini, Enzo Biagi, Dino Buzzati, Giorgio Strehler, Alberto Moravia e Salvatore Quasimodo, solo per citarne alcuni. E proprio all’interno della cerchia di questi uomini, la Samugheo riuscirà a ritagliarsi il proprio spazio, a stringere amicizie e fare incontri significativi, come quelli con Federico Patellani e il fine intellettuale, grafico, illustratore ed editore Pasquale Prunas, che diverrà il compagno di una vita e la spronerà a intraprendere la professione di fotografa.

All’interno di questo alveo, l’autrice potrà crescere e maturare la propria consapevolezza riguardo al potere detenuto dall’immagine, in grado di denunciare, muovere i sentimenti e gettare luce su aspetti della realtà sconosciuti o volutamente trascurati.

A quel punto Chiara Paparella non esiste più. Al suo posto c’è una donna dal cognome singolare, che rimanda a quell’isola aspra e forte che è la Sardegna, quasi fosse l’epiteto che accompagna il nome. Cimentandosi nella realizzazione di servizi fotografici di reportage, dimostrerà una rara capacità di narrazione associata alla profondità di sguardo. Fonderà un linguaggio suo malgrado, influenzando ricerche di altri autori e delineando nuove prospettive di documentazione.

Indimenticabile, a tal proposito, il reportage sulle tarantolate di Galatina (Lecce) realizzato nel 1954 e pubblicato l’anno seguente sulla rivista Cinema Nuovo col titolo Le invasate e l’accompagnamento di un testo di Emilio Tadini. Animata da una necessità di testimoniare che non l’ha mai abbandonata, Chiara fu la prima a volgere lo sguardo verso l’universo del tarantismo, in accordo col crescente interesse culturale verso il Sud del Paese, favorito dalla nascente antropologia italiana e dalla denuncia neorealista. Un documento di straordinaria importanza che mantiene intatto ancora oggi il suo fascino e mistero e a cui fanno seguito fotodocumentari altrettanto significativi come I bambini di Napoli, ambientato nelle baraccopoli napoletane, e Le Zingare in carcere (apparsi sempre nelle pagine di Cinema Nuovo).

Il suo talento stregò perfino Henri Cartier-Bresson, che a metà degli anni Sessanta, in un afoso mezzogiorno romano, si presentò al suo portone per manifestare la propria ammirazione e per chiederle di entrare a far parte della mitica agenzia Magnum. Ma questa è un’altra storia.

di Francesca Marani

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