Incontriamo Efrem Raimondi nel suo studio a pochi passi da Milano e lui comincia il suo racconto

16 Dicembre 2018 di Redazione Redazione

Una fotografia spericolata

Incontriamo Efrem Raimondi nel suo studio a pochi passi da Milano e lui comincia il suo racconto. «Vuoi venire con me in America»? Era Tania Sachs al telefono… ottobre 2000. Ho pensato a uno scherzo e ho riattaccato. Non sapevo che Tania fosse la responsabile della comunicazione di Vasco Rossi e che non stesse scherzando per niente. Così è iniziata per me questa fantastica e complessa scorribanda iconografica nella Vasco Zone. Non complicata… complessa. Perché fotografare Vasco non è facile. Innanzitutto sono dovuto partire per Los Angeles, io che non amo viaggiare se non in macchina… passi anche il treno, ma solo se ho poco bagaglio…

Vasco Rossi e Efrem Raimondi

È così che inizia l’avventura fotografica di Efrem Raimondi con Vasco Rossi: con un equivoco che, per fortuna, si risolve ma che si ripete appena sbarcati a Los Angeles.
Affitto uno studio poco convenzionale rispetto ai nostri standard… splendido!  E, mentre facciamo una chiacchiera preliminare, Vasco mi dice: «Io odio essere fotografato». Perfetto, io odio fotografare! E adesso? Visto che abbiamo fatto undicimila chilometri per trovarci qui, cosa facciamo? Così iniziamo a lavorare. Atmosfera rilassata e piacevole.

Los Angeles era nel 2000 e da quel momento a oggi tu e Vasco avete fatto coppia fissa. Nel 2001 fai una mostra alla galleria di Grazia Neri a Milano. Ricordo un pezzo di  Luzzato Fegiz che, in quell’occasione, non scrive solo di musica ma anche di te e di Vasco, in senso fotografico.
È stata un’esperienza indimenticabile. Per presentare l’album Stupido Hotel decidiamo di organizzare una mostra. Quel giorno, fuori dalla galleria, ci saranno state duemila persone. Problemi di ordine pubblico con i fan, traffico bloccato. La gente non riesce a entrare. I giornalisti sono appollaiati uno sull’altro per strappare un’intervista a Vasco. Intorno, le mie fotografie: bianco e nero, colore e polaroid ingrandite. Alla fine siamo costretti a denunciare un furto. Qualcuno ha rubato tre fotografie… mica piccole. Addirittura del formato 40/60 montate su alluminio. Letteralmente strappate dal muro. Il giorno dopo siamo su tutti i giornali. L’album di Vasco è stupendo. Il contorno (le foto, la mostra, il furto) pure. Ecco perché Luzzato Fegiz, in quel suo pezzo, scrive anche di fotografia.

Vasco ha imparato ad amare la fotografia? Com’è il vostro rapporto?
L’esperienza con Vasco è adrenalinica, di quelle che segnano. Il libro Tabularasa, ventisette anni con Vasco Rossi e realizzato a quattro mani con Toni Thorimbert, ne è la testimonianza più forte. Certe immagini ti accompagnano sempre. Alcune accompagnano più persone, anche quelle che sono tra loro estranee. È la fotografia. Quella roba che ha la capacità di trascendere il tempo e la sua precarietà, che regala souvenir diversi. Come certe canzoni. Adesso ci conosciamo bene. C’è affetto e stima reciproca. Una volta, proprio all’inizio, parlando con mia moglie, Vasco ha detto: «Mi piace tuo marito. Quando lavora suda». È, francamente, la cosa più originale e inaspettata che mi sia mai sentito dire. E mi piace.

Vuoi venire con me in America?
Meno male che Tania ha richiamato!

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