11 Marzo 2020 di Redazione Redazione
L’esperienza nell’ambito di importanti campagne pubblicitarie ha permesso a Fabio Zonta di affinare la tecnica che ne caratterizza lo stile. Il mondo della pubblicità è stato per lui il preludio di una brillante carriera nel campo dell’arte, caratterizzata da una ricerca visiva dagli accenti metafisici. Oggi le sue fotografie lo descrivono come un autore sensibile alle forme che la natura cela sotto la superficie del visibile.

Come ti sei avvicinato al mondo della fotografia artistica? Qual è stata la scintilla che ti ha portato a dare una svolta alla tua carriera professionale? «Dopo venticinque anni in cui mi sono prevalentemente occupato di fotografia commerciale, genere in cui si tende a mettere in scena gli ambienti e i soggetti, ho cominciato a sentire il bisogno di affrontare tematiche più vicine al mondo reale. Dove la bellezza non è il frutto di manipolazioni umane ma esiste di per sé. Dove, citando Platone, la bellezza è lo splendore del vero. Ecco, proprio questa frase rende bene l’idea che ha ispirato il mio cambio di direzione. Successivamente, infatti, l’atto di fotografare mi ha aiutato a vedere quanto il mondo naturale poteva offrire in termini di estetica, ma anche di contenuti. La natura è diventata così una fonte inesauribile di meraviglie».
Fabio Zonta

Untitled, dalla serie Peonie, 2010 © Fabio Zonta


Ora ti dedichi prevalentemente alla ricerca artistica. Qual è il significato simbolico di cui si arricchiscono le tue immagini? «Le prime foto che ho realizzato in queste nuovo ambito di lavoro ritraggono i semi volatili (soffioni, gelsomini, epilobi ecc.) che, a mio avviso, riflettono tantissimo il senso del ciclo della vita, dalla morte alla rinascita. A questo proposito, Carl Jung scrive che “tutto è già accaduto e non ancora accaduto, tutto è già morto e non ancora nato”. Questo è il tema che sta alla base del mio lavoro. Procedendo mi sono dedicato ad altri soggetti, dalle sfioriture di fiori colorati, fino alla serie Atomismo, il cui titolo si riferisce al concetto secondo cui sul nostro pianeta da miliardi di anni si aggregano e disgregano gli stessi atomi ricombinandosi in forme sempre diverse e, aggiungo io, sempre di straordinaria bellezza. Il nostro corpo, in un certo senso, è già appartenuto a milioni di altri esseri viventi. L’acqua che beviamo quotidianamente è già stata bevuta da altri esseri e così è anche per l’aria che respiriamo. Il genere umano è solo una brevissima parentesi in questa maestosa macchina che è il pianeta Terra. Quest’ultimo ha sempre dispensato armonia ed equilibrio tra tutte le specie che l’hanno abitata, e mi auguro che l’uomo possa in futuro rispettarne l’equilibrio con maggiore attenzione».
Fabio Zonta

Untitled, dalla serie Palingenesi © Fabio Zonta

Che valore hanno il concetto di serie e la tecnica dello still life nei tuoi progetti fotografici? «Comincio dalla tecnica. Secondo me non esiste nessuna forma artistica in cui si possa trascurare la tecnica. Bisogna assolutamente conoscerla per poi dimenticarsene; non bisogna mai subirla, va posseduta, qualsiasi mezzo espressivo tu abbia scelto. È la componente che fa sì che tu possa tradurre in opera il tuo pensiero che è, e sempre deve essere, la sola cosa importante. Se è vero che fotografia è scrivere con la luce, io penso che come per la scrittura ci siano varie forme per usarla. Si può usarla per fare delle didascalie, oppure della cronaca, indagini sociologiche, fino a farne dei racconti o in alcuni casi delle poesie. Posso dire che le serie che ho realizzato finora le ho intese come dei racconti brevi, divagazioni sulla vita e sulla morte, sul trascorrere del tempo e sulla sua circolarità, sulla bellezza di tutto ciò che la natura crea».
A cosa ti stai dedicando attualmente? «In questo periodo mi sto dedicando a una serie che ho chiamato Vanitas. Ogni singola immagine di questo nuovo progetto ritrae una composizione in cui combino tre o quattro soggetti che abbiano in sé i segni della spirale, siano essi animali come conchiglie e chiocciole o vegetali come le foglie di Araucaria o alcune strutture interne alle radici. Il tutto è avvolto dalla patina del tempo. La forma della spirale assume in questo contesto creativo un valore simbolico importante, in quanto figura allegorica che nell’arte antica rappresenta il momento in cui si viene alla luce, riconoscibile nella struttura delle galassie o nelle linee che seguono le chiome vellutate dei neonati»

Fabio Zonta

Fabio Zona
Nasce a Bassano del Grappa. Dal 1977 lavora all’agenzia Publifoto di Milano come assistente di Alfa Castaldi, Christopher Broadbendt e Davide Mosconi. Collabora con riviste come Abitare, Domus, Gran Bazaar, Ottagono e Interni. Fotografa per importanti studi di architettura tra cui Cini Boeri, Matteo Thun e Antonio Zanuso. Documenta per cataloghi e mostre l’opera di artisti italiani e stranieri. Fotografa per istituzioni e musei, tra cui Le stanze del Vetro – Fondazione Cini di Venezia, il Musèe des Arts Decoratifs di Parigi, il Metropolitan Museum di New York. La Triennale di Milano ha acquisito 90 sue foto. È rappresentato da Lens Cloud di Londra e da Bugno Art Gallery di Venezia.

Lascia un commento

qui