10 Marzo 2020 di Redazione Redazione

Fedele a un approccio fotogiornalistico, Alessandro Zenti segue il fenomeno delle migrazioni da più di dieci anni. Il lavoro sul campo lo porta a documentare la vita nelle tendopoli di Boreano (Pz), San Ferdinando (RC) e Rignano Garganico (Fg). Dal suo punto di vista, i reportage assegnati dai giornali sono solo il pretesto per divulgare una ricerca a lungo termine che lo vede impegnato in prima linea, al fianco dei migranti, per raccontarne da vicino le storie e i vissuti.

L’intervista

Il tuo lavoro cerca di mettere in luce situazioni sociali spesso al limite della legalità. Come entri in contatto con i tuoi soggetti e in che modo ti inserisci nei loro contesti di vita? «Scattare rappresenta la fase finale di un processo di lavoro iniziato mesi prima e che comprende la ricerca, la comprensione e la pianificazione di tutti gli aspetti, inclusa la pre-visualizzazione dei soggetti e dei contesti. Essere dentro una realtà ti permette di comprenderne tutte le sfaccettature, abbattendo quei preconcetti che sono insiti in ognuno di noi. Ciò che mi interessa è conoscere, farmi conoscere e condividere con le persone momenti della giornata, dal caffè del primo mattino fino alla sera. Spesso passano mesi prima che riesca a portare a casa qualcosa. Fondamentali in questo lavoro sono l’empatia, la perseveranza e la determinazione».

I tuoi reportage sono impostati come racconti in terza persona di soggetti con esperienze di vita difficili. C’è una storia che ti ha colpito maggiormente tra quelle che hai raccontato? «Ogni storia ha una sua particolarità e ti lascia un segno. Avrei voluto raccontare la storia di una ragazza romena alla quale hanno sottratto e venduto il figlio. Arrivata in Italia è finita tra le grinfie di aguzzini che hanno venduto il suo corpo. Giornate in preda all’alcol e alla droga la vedevano assoggettata e vulnerabile. In pochi mesi ho potuto assistere alla parabola della sua breve vita, terminata in una cella frigorifera a cui non hanno degnato neanche di uno sguardo tutti quelli che dicevano di amarla».

Esiste un episodio particolarmente significativo che riguarda il tuo lavoro a contatto con i migranti? «A questo proposito posso raccontare un fatto che mi ha riempito il cuore di gioia. Ero a Rosarno, in Calabria. Ho trascorso moltissimo tempo nella tendopoli. Il giorno dello sgombero le forze dell’ordine mi hanno allontanato dietro le transenne con tutti gli altri operatori dell’informazione. Appena è cominciato lo smantellamento del ghetto, i migranti si dirigevano verso gli autobus e cercavano di coprirsi il volto per non farsi riprendere dalle fotocamere. Ma quando sono passati davanti a me, hanno tentato di avvicinarsi, fino a chiedere espressamente alle forze dell’ordine di farmi passare per accompagnarli ovunque stessero andando. Mi chiamavano “mio caro amico, mio molto amico”. Tra lo stupore di tutti non ero più un fotografo – uno che ruba l’anima, secondo i migranti – ma ero un loro amico».

Alessandro Zenti. Migranti.

Doccia invernale al ghetto di Rosarno. Gennaio 2019 © Alessandro Zenti. I migranti per potersi lavare devono acquistare acqua calda (venduta in appositi secchi) e seguire un percorso tra cumuli di stracci e topi morti.

Quello della migrazione è un tema molto trattato dai media italiani negli ultimi anni. Credi che sia sviluppato in modo esaustivo nell’uso delle immagini? «Ciò che i giornali pubblicano è solo la punta dell’iceberg di un mondo sotterraneo che non è facile raccontare fino in fondo. Per questo preferisco lavorare autonomamente sui reportage a lungo termine che mi permettono di gestire i tempi, di entrare in profondità nelle diverse realtà».

Dopo aver fotografato i ghetti degli immigrati ti sei occupato delle badanti rumene in Italia. Cosa ti ha spinto a lavorare su quest’ultimo argomento? «Con il mio ultimo lavoro cerco di raccontare storie positive di migranti economici dell’Est Europa. Si tratta di migranti arrivati in Italia nel secolo scorso e che oggi sono perfettamente integrati nel tessuto produttivo. Il mio scopo è quello di comprendere cosa significhi integrazione e come quest’ultima può realizzarsi attraverso le fasi del processo migratorio, tenendo presente quei processi storici che ieri hanno visto protagonista l’Est Europa e oggi l’Africa e il Medio Oriente»

 

Alessandro Zenti

Alessandro Zenti

Alessandro Zenti, giornalista dal 2012, collabora con noti media italiani come Il Fatto Quotidiano, Mediaset, Fanpage e Radici. La sua carriera inizia nella redazione de Il Quotidiano della Basilicata dove si dedica al reportage sociale. Come fotoreporter embedded documenta i danni della guerra in Kosovo. In Marocco lavora nella regione di Tadla-Azilal per raccontare i progetti di inclusione sociale di una ONG. La borsa di studio Peacekeeping. Conflitti internazionali e vittime civili di guerra gli permette di approfondire il fenomeno migratorio. Alessandro Zenti sta attualmente lavorando su Migrants, un progetto fotografico a lungo termine dedicato alla vita dei migranti e agli aspetti della migrazione.

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