24 Dicembre 2018 di Vanessa Avatar

Giorgio Maiozzi

Incontra la fotografia grazie al padre al quale rubava, appena poteva, la macchina fotografica, una Bencini – Comet S. Verso i diciotto anni raccoglie tutti i suoi risparmi e riesce ad acquistare la prima macchina, una Yashica FX3 manuale con un 50mm f/2.8: il classico kit entry level. Una fotocamera che, come racconta, ha tenuto per diversi anni e con la quale si è molto divertito. Nei vari passaggi da amatore semplice a evoluto e poi a professionista, la Yashica ha lasciato il posto alla Contax 167MT e alle ottiche Zeiss con le quali ha iniziato a lavorare.

Gli inizi della carriera di Giorgio Maiozzi

Agli inizi della carriera segue e fotografa un amico modello negli anni in cui Roma ospitava le grandi manifestazioni dedicate alla moda, una fra tutte la sfilata Donna sotto le stelle che chiudeva la fashion week capitolina. La parentesi in questo campo non dura molto lasciando spazio alla sua grande passione: il tennis. Inizia fotografando al circolo gli amici che gli chiedevano le foto sui campi di gioco. Ci racconta: «Credo sia stato proprio il primo passo decisivo. Decido di abbandonare il discorso moda, anche se molto interessante, per dedicarmi all’ambito sportivo. Grazie a incontri e opportunità che si sono presentati lungo il percorso, si è sviluppato abbastanza velocemente il mio impegno. Questa specializzazione nasce, innanzitutto, dalla mia grandissima passione per questo sport. Ho iniziato a lavorare con alcuni circoli, fotografando i giocatori, poi ho conosciuto dei rappresentanti di attrezzature sportive e ho avviato una collaborazione con una rivista che si chiamava Tennis Lazio ed era la pubblicazione della Federazione Italiana Tennis del comitato regionale. Da lì sono arrivato agli Internazionali d’Italia. Il mio primo accredito come fotografo porta la data 1989. Da allora, ringraziando il cielo, non ho mai saltato un’edizione di questo grande evento ». Si comprende, dalla sua testimonianza, oltre alla tenacia e quella “normale gavetta” che dovrebbe attendere ogni fotografo desideroso di cimentarsi nella professione, quanto l’opportunità di vivere e documentare le manifestazioni sia stata fondamentale per entrare in contatto con sportivi, addetti ai lavori e aziende per allargare la propria offerta, per farsi conoscere e per costruire ulteriori occasioni professionali.

Senza conoscere nessuno, nel mondo del tennis Maiozzi è riuscito a emergere grazie alla volontà e alla voglia di fare. Volendo proporre un paragone con il nostro presente, gli chiediamo se, per lui, sia ancora possibile muoversi allo stesso modo per cogliere dei risultati.
«Nel tennis non credo si possa più fare», risponde. «Per un motivo fondamentale: lo sport è ormai dominato da alcune grandi agenzie a livello mondiale le quali fanno il buono e il cattivo tempo, prima fra tutte Getty Images. Se ci fosse stata Getty ai miei tempi, non credo sarei riuscito a realizzare qualcosa d’importante. Allora c’era spazio per i freelance. Ho seguito per un decennio il circuito mondiale del tennis a mie spese, da Wimbledon al Roland Garros, all’Australia, alle Olimpiadi. Questo impegno, anche economico, aveva un senso perché ricevevo l’interesse da parte delle aziende e delle riviste. Oggi il mercato non favorisce i freelance. I compensi sono irrisori e lo scenario è completamente cambiato».

Il secondo, e più importante, ambito professionale di Giorgio Maiozzi è incentrato sulla documentazione degli eventi

Anche in questo settore, coltivato negli stessi anni del tennis, Maiozzi oggi è un autore riconosciuto. Un mondo certamente affollato, ma nel quale esiste ancora uno spazio d’azione. L’occasione di quest’incontro ci consente anche di comprendere le doti e le caratteristiche necessarie che deve possedere un buon fotografo. E lui: «La difficoltà più grande, direi, è data dal fatto di non essere mai solo a operare – sei circondato da altri colleghi – e per questo devi capire rapidamente dove posizionarti, magari facendoti sentire e, a volte, imponendo la tua presenza. Si deve vincere il timore ed è necessario farsi rispettare. Bisogna avere sicurezza in se stessi, del proprio lavoro e del proprio ruolo. Un buon allenamento che la fotografia sportiva ti offre è nella capacità di prevedere l’azione e di farti trovare pronto nel cogliere l’attimo. Se perdi il momento, come nello sport, è finita».

Le tipologie di cliente sono sicuramente varie. C’è chi si affida completamente e c’è chi vuole intervenire nel merito della fotografia e della narrazione.
«Se un cliente mi sceglie, che sia uno nuovo o uno con cui collaboro da anni, so che non mi ha scelto per un prezzo particolarmente concorrenziale, ma perché sa che posso garantirgli professionalità, affidabilità, disponibilità, puntualità e un lavoro di buona qualità, tutte cose che non si improvvisano. Per fortuna sono ancora abbastanza i clienti che apprezzano queste doti e che considerano l’esperienza un valore aggiunto. Non dico certo niente di nuovo affermando che negli ultimi anni si è allargata a dismisura la platea dei fotografi, cosiddetti professionisti, ma la qualità media è scesa drasticamente, perché l’unica discriminante è tenere i prezzi più bassi possibile».

Guardando alle sue foto, non sfugge un altro ambito d’interesse: il golf. Chiediamo quando e come sono nate queste incursioni.
«Per colpa o per merito di mio figlio che accompagnavo al corso», risponde. Mentre lo aspettavo, decisi di prendere anch’io qualche lezione. Poi lui si è stufato e ha smesso e io ho continuato. Ho iniziato con la produzione di video tutorial per il mio maestro Pier Guido Caneo, uno dei maestri italiani più conosciuti, e poi ho avuto la possibilità di lavorare per la Federazione Italiana Golf. Tre anni fa era nato il progetto di portare la Ryder Cup a Roma – il terzo evento sportivo più seguito al mondo – e ho lavorato con il comitato organizzatore e con la Federazione. Roma è stata designata come ospite nel 2022. Per fotografare il golf uso il 70-200mm f/2.8 con l’1.4x o il 100-400mm f/4-5.6, perché il fotografo è obbligato a tenersi a debita distanza, soprattutto per non dare fastidio, cercando di non fare il benché minimo rumore. La regola vuole che tu non possa scattare la foto mentre il giocatore sta preparando il colpo, ma solo dal momento in cui il bastone inizia a scendere».

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