23 Febbraio 2020 di Elisabetta Agrati Elisabetta Agrati

I social e l’e-commerce stanno rivoluzionando non solo le nostre vite ma anche una professione un tempo ambita e remunerativa, quella del fotografo di sfilate. Marcus Tondo, che ha intrapreso il mestiere alla fine degli anni Novanta, ha vissuto in prima persona questa evoluzione. Siamo andati a trovarlo nel suo studio milanese di Via Garegnano, attrezzato con una funzionale sala di posa, dove ci ha parlato non solo di passerelle ma anche di beauty e still-life, dando qualche consiglio a chi volesse entrare nel mondo della fashion photography.
La professione di fotografo di sfilate è ancora richiesta come in passato? Quando ho iniziato a fotografare le sfilate, c’erano tantissimi fotografi: ogni rivista aveva il suo fotografo (e in più, ogni fotografo aveva il suo assistente!). Oggi, il numero dei fotografi si è dimezzato, un po’ perché ora ci sono le grosse agenzie, un po’ perché le riviste cartacee sono diminuite. È tutta una catena.

Sfilata DSquared2 – La luce diretta scolpisce la scarpa evidenziandone i dettagli © Marcus Tondo


Come hai fatto a ritagliarti un tuo spazio? Mi sono specializzato sui dettagli, sugli accessori. Era una nicchia che esisteva già, ma ho cercato di interpretarla diversamente. In qualche modo, ho contribuito con il mio lavoro a dare vita a un certo tipo di “fotografia del dettaglio”. Mi sono messo sempre più laterale possibile in modo da avere tutto il tempo per fotografare i dettagli degli accessori, con le luci della passerella di taglio. Ricerco i dettagli sul vestito, mi piacciono molto i vestiti lunghi o i foulard che con la luce diventano quasi caravaggeschi, plastici. In ogni scatto cerco sempre di creare un’atmosfera, di dar vita a un’immagine che racconti qualcosa, che regali un’emozione e che non faccia solo vedere il prodotto.
Sulla passerella avviene tutto velocemente. Come ti prepari alla sfilata? Nella maggior parte dei casi non puoi fare sopralluoghi, a meno che tu non sia il fotografo della maison, allora hai la possibilità di assistere alle prove, vedere la collezione. In genere, però, devi fare tutto al volo e devi essere fortunato con le luci. Poi, naturalmente, più fai esperienza, più sei in grado di prevedere le situazioni, sai già dove posizionarti per ottenere una determinata fotografia. Dopo tanti anni, ho imparato a vedere cose che altri non vedono, a capire come cadono le luci, tutto nel giro di pochi secondi…
Quale consiglio daresti a un giovane che volesse intraprendere la tua strada? Oggi i ragazzi hanno la fortuna di poter accedere a moltissime informazioni… ma questo può essere anche insidioso perché c’è sempre il rischio di una cattiva informazione e quindi devi essere bravo a discernere, altrimenti ti perdi. Secondo me, la cosa più importante è entrare a far parte di un team, lavorare come assistente per un fotografo, anche se sei già capace di fotografare, perché solo in questo modo impari davvero i trucchi del mestiere, come muoverti, come relazionarti con i clienti o, se fai un certo tipo di fotografia, con i modelli.

Il make-up della sfilata di Dior (Spring 2018 couture), altro aspetto molto importante © Marcus Tondo


Lavorando molto su commissione, non c’è il rischio di perdere creatività? Riesci a ritagliarti lo spazio per dedicarti ai tuoi progetti personali? Quando fai della tua passione la tua professione e lavori molto, il rischio è di perdere la passione strada facendo. Ogni anno il mio vecchio professore di fotografia dell’Istituto d’Arte, che insegna al liceo artistico Fellini a Riccione, mi invita a scuola per una giornata di alternanza scuola-lavoro per spiegare ai ragazzi in cosa consiste il mio lavoro. Quest’anno, era maggio, sono arrivato il giorno prima e sono andato in spiaggia: erano le tre del pomeriggio, aveva appena finito di piovere e stava uscendo un sole meraviglioso. C’era questo contrasto pazzesco tra la luce e il cielo nero e allora ho preso la macchina fotografica e ho iniziato a fotografare, come avrebbe fatto un semplice appassionato. Mi sono divertito un sacco, senza restrizioni. Perché il problema del lavoro è che hai delle restrizioni, devi lavorare per necessità… e quindi un po’ l’arte si perde. Quando fotografi senza limitazioni, il cervello viaggia diversamente e, letteralmente, ti ricarichi.

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