11 Aprile 2020 di Redazione Redazione
Cosa sappiamo realmente su ciò che arriva ogni giorno sulle nostre tavole? Da dove proviene realmente il nostro cibo? Come sono prodotti e commercializzati gli alimenti che troviamo solitamente nelle grandi catene distributive? Per costruire il suo racconto, Nicolò Panzeri ha girato l’Italia visitando laboratori di ricerca, industrie, allevamenti, serre e piantagioni per osservare e fare chiarezza sulle modalità in cui l’industria alimentare risponde o crea i nostri desideri.

Un invito a riflettere, senza giudicare

Con i recenti progressi tecnologici l’agricoltura sta diventando sempre più automatizzata, altamente specializzata e progettata per avere una resa ottimale della sua produzione. La biotecnologia, la chimica e la medicina ora svolgono un ruolo importante nella produzione del nostro cibo, con scarso riguardo per la nostra salute e quella del pianeta. L’industria stessa è attualmente governata da modalità di produzione strettamente legate alle regole del capitalismo, privilegiando così le grandi imprese. Tuttavia, contrariamente a come si possa immaginare, le fotografie di Nicolò Panzeri, grazie a uno stile oggettivo e diretto, sono caratterizzate da una sospensione del giudizio che allontana qualsiasi messaggio morale ed etico, limitandosi semplicemente a documentare e registrare lo stato delle cose.  Il progetto Feed Us ci racconta molto di noi, e ci fa riflettere sul nostro sistema economico, ma soprattutto sul nostro attuale e futuro rapporto con la natura. Abbiamo fatto qualche domanda al giovane autore per approfondire alcuni aspetti del suo progetto.

Qualche domanda all’autore

Parlaci di Feed Us. Da dove nasce e cosa ti interessava mostrare? «Sono sempre stato una persona molto vicina alle tematiche ambientali e al loro approccio eticamente corretto. Nello specifico, la curiosità verso la produzione alimentare è nata quando avevo diciannove anni. Poi, un paio d’anni fa, guardando fuori dal finestrino durante un viaggio in treno, scorsi le campagne della Bassa e mi domandai se non fosse il caso di iniziare una ricerca fotografica che interessasse il mondo agricolo. Le motivazioni credo siano ben radicate nella mia persona. Se dovessi razionalmente elencarle credo si sia trattato di curiosità, della voglia di conoscere le peculiarità di questo sistema e di comprendere quanto il nostro rapporto col cibo sia cambiato negli ultimi decenni. Ma anche di quanto la nostra dieta si sia piegata sotto la forza e gli interessi delle lobby industriali. Feed Us, in particolare, tratta del mondo e dell’industria alimentare italiana. Ho voluto focalizzarmi sull’Italia perché è da sempre un punto di riferimento mondiale per quanto riguarda cibo e alimentazione. Di contro, dalla mia esperienza di consumatore e lettore, mi era sempre più chiaro che la produzione di cibo di massa non era più caratterizzata da quell’amore e da quell’attenzione ai cicli naturali che tanto avevano contraddistinto il nostro Paese in passato. A ogni modo, nella fase preparatoria del progetto, svolgendo le varie ricerche, ero comunque consapevole di quanto numerose fossero ancora le realtà contraddistinte dall’amore e dal rispetto per la natura e i suoi frutti. Pertanto, includerle nel mio percorso, creando un dialogo tra questi due mondi differenti, è stata una scelta naturale e istintiva».
Castelvecchio di Puglia. Foggia.

Castelvecchio di Puglia, Foggia. Dopo il Canada, l’Italia è il secondo Paese produttore mondiale di grano duro, con 4,8 milioni di tonnellate di prodotto nel 2016, mentre sono 3,2 milioni quelle di grano tenero.


Il progetto si focalizza principalmente dal punto di vista tecnologico dell’industria alimentare italiana. In che modo queste innovazioni vengono applicate e quali sono gli aspetti che ti hanno maggiormente colpito? «Ho cercato di analizzare il complesso e capillare panorama dell’industria alimentare partendo dai centri di ricerca, i veri motori dell’industria. Le conquiste tecnologico-scientifiche dei laboratori – considerate fruttuose – confluiscono successivamente all’interno del processo produttivo industriale, concorrendo alla sua omologazione, abbassandone i costi di produzione e rendendolo sempre più infallibile. Per cui prendere in considerazione soltanto l’anello ultimo di questa catena, l’industria, sarebbe stato inesatto e moralmente scorretto. Mi ha colpito la naturalezza con la quale questi “processi innaturali” avvengono ogni giorno. La disinvoltura con cui questo sistema riempie i nostri supermercati e, di conseguenza, le nostre tavole. E ultima, ma non per questo di minor importanza, la facilità con cui abbiamo familiarizzato con tutto ciò».
IZS, Roma

IZS, Roma. Isolato di Salmonella spp: semina in triplo striscio su terreno agarizzato Xylose Lysine Desoxycholate (terreno XLD) all’interno di una piastra di Petri. Ogni anno circa 600 milioni di persone contraggono infezioni di origine alimentare, tra queste, le vittime ammontano a 420.000. 31 gli agenti di rischio: 2 virus, 12 batteri, 14 parassiti e 3 agenti chimici. Le malattie diarroiche (Norovirus) sono responsabili di oltre la metà delle malattie di origine alimentare del globo, con 55 milioni di malati e 230.000 decessi ogni anno. Il resto della responsabilità è da attribuire alla febbre tifoide, l’epatite A, la teniasi, le aflatossine e le malattie causate da Salmonella, Escherichia Coli e Campylobacter.

Nel tuo lungo viaggio in Italia hai avuto modo di conoscere molte realtà che applicano questo modello industriale alla propria produzione. Quali sono i cambiamenti che hanno apportato nel nostro presente e quali scenari si prospettano per il futuro? «Questo modello ha inciso profondamente sul modo in cui ci nutriamo. Con la nostra consapevolezza o meno, l’industria si occupa da anni del nostro modo di mangiare. I prodotti a basso prezzo, gli sconti, lo studio sul packaging e l’uso di colori saturi hanno una forte influenza su di noi e su cosa e quanto acquistare. Oggi, con una consapevolezza minima, si può ancora incidere sul dove. Scegliendo quest’ultimo, il cosa e il quanto vengono di conseguenza. Prefigurando il nostro futuro alimentare vedo scenari asettici fatti di provette, beute e cilindri di vetro. Una natura monocromatica di cartone. Scenari in cui uno starnuto potrà radere al suolo ettari ed ettari di serre. Ma del resto a questo non manca poi molto»
di Giada Storelli

Nicolò Panzeri


Classe 1991, è un fotografo documentarista di base tra Milano e Firenze, dove ha frequentato il triennio di fotografia alla Fondazione Studio Marangoni. Il suo lavoro è stato esposto, tra gli altri, a Reggio Emilia all’interno del circuito on dell’edizione 2018 del Festival di Fotografia Europea e all’edizione 2016 del circuito off del SiFest di Savignano sul Rubicone. Oltre a esser stato nominato tra i finalisti del Premio Ponchielli 2018, i suoi lavori sono stati pubblicati su importanti riviste come IGNANT e The Submarine.
 

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