Lo scatto Girls from Another Planet di Francesca Tilio è diventato un murales per esprimere solidarietà al popolo ucraino.

28 Marzo 2022 di Elisabetta Agrati Elisabetta Agrati

Uno scatto della fotografa Francesca Tilio, che ritrae due ragazze strette in un abbraccio, è divenuto un murales per la pace. Realizzato da Dainis Rudens, street artist lettone, il murales è stato commissionato da un negozio di mobili di Riga, Kate mēbeles.

Il desiderio era di esprimere la vicinanza della Lettonia al popolo ucraino tanto che i colori degli abiti delle due ragazze (interpretate nello scatto originale dalle modelle Aurora Belli ed Elena Ceci) sono stati modificati in quelli delle bandiere dei due Paesi. Ad accompagnare il disegno la scritta Kopā mēs esam spēks, Insieme siamo più forti.

Uno scatto simbolo di solidarietà e fratellanza

A ricostruire la vicenda della foto – che già negli scorsi anni era stata più volte ripresa grazie al tam tam della Rete – è stata la stessa Francesca Tilio. Che scrive sulla sua pagina Facebook: “Sono anni che questa immagine ha cambiato forma nelle infinite condivisioni della rete. Anni in cui artisti da tutto il mondo hanno trasformato questo abbraccio in un codice che consente la trasmissione e la comprensione di un messaggio positivo”.

“Amo le possibilità infinite di questo scambio artistico perché l’immagine si fa interprete di un linguaggio universale. Nessuno degli autori, a Riga, conosceva la mia foto prima di ieri, eppure era arrivata a loro dalla Rete, in un continuo rimbalzo di suggestioni”.

“Sono grata agli amici lettoni per aver realizzato questo lavoro inconsapevolmente scaturito dall’abbraccio delle Girls from Another Planet e sono felice che nel tempo questo scatto sia sempre e per tutti simbolo di affetto, solidarietà e fratellanza”.

L’intervista a Francesca Tilio

In questa occasione, vogliamo riproporvi uno stralcio dall’intervista a Francesca Tilio realizzata da Martina Bonetti per IL FOTOGRAFO n. 332.

Background artistico e intento politico fanno da cornice all’approccio fotografico di un’autrice appassionata, indagatrice versatile con la missione di reinterpretare il reale offrendone una visione del tutto nuova. Il lavoro di Francesca Tilio non si limita a descrivere le situazioni come appaiono, né a darne semplicemente un’interpretazione, ma arriva a creare scenari completamente diversi che offrono molteplici strati di lettura e coinvolgono tutte le discipline.

Scatti che ritraggono donne libere e coraggiose, giovani ragazzi che affrontano l’imprevedibilità del mondo, madri e figlie, animali e natura in un’atmosfera di legami viscerali e colori puri. Il processo dello scatto si trasforma in performance, il soggetto in attore che mostra una versione inedita di se stesso, i rapporti interpersonali in vere e proprie storie di vita da raccontare come frammenti di un film, senza sapere quale sarà il finale.

Le tue immagini comunicano profondamente il legame che intercorre tra i soggetti ritratti, nonostante stiano posando. Trovi difficile riuscire a restituire in modo genuino dinamiche reali davanti all’obiettivo?

«La messa in scena è parte integrante del mio lavoro fotografico, sin dall’inizio è stato così. Mi sono avvicinata tardi a questo linguaggio artistico, fino all’età di trentun anni non ho mai avuto una macchina fotografica mia, ma allo stesso tempo si trattava di qualcosa che sentivo già presente nel mio DNA. Arrivavo infatti dal mondo del teatro, dalla comunicazione, da altre forme di creatività che mi avevano già reso molto naturale l’atto di cercare, assemblare, costruire immagini».

«Spesso insceno qualcosa che non esiste nella realtà. I miei scatti sono quasi sempre frutto di una ricerca e di una composizione che nascono prima dentro di me. Rimango totalmente affascinata di fronte al lavoro di certi fotografi inglesi o americani che rappresentano il reale senza sovrastrutture, quelli che posano il loro sguardo sul quotidiano senza apparenti manipolazioni – ne è un esempio Paul Graham –».

«Negli anni ho tentato di intraprendere anch’io quel percorso perché, come spesso accade nella vita, i tentativi aiutano a capire meglio la propria identità, ma ho realizzato col tempo che la costruzione fotografica è ciò che mi calza a pennello. Creare, mettere in scena qualcosa di immaginario o interpretare il presente secondo una visione personale sono gli approcci diventati la mia cifra stilistica».

Più che di fotografia, in un certo senso, mi occupo di regia. Le persone che ritraggo rispondono a certi stimoli verbali, si lasciano guidare dalle mie ispirazioni o dalla musica che metto. Il risultato è il frutto della connessione tra me e loro – siamo vasi comunicanti –. È per questo che in alcuni casi la definisco fotografia performativa».

Come credi siano cambiate le relazioni nell’era post Covid? La mancanza di interazione fisica ti frena a livello creativo o ti stimola a ricercare un nuovo linguaggio?

«Credo che il ruolo della fotografia, come degli altri linguaggi dell’arte, sia primariamente quello di indagare, raccontare e trasformare concedendo nuova vita alle cose. Se cambia il mondo intorno a noi conseguentemente anche le relazioni che si creano non sono più le stesse, e così anche la loro narrazione, il modo di testimoniarle».

«Ritengo che la fotografia mi abbia concesso un potere in particolare, quello di trasformare la realtà che vedo ed eventualmente di modificarla dandone una visione migliore. Da anni mi batto affinché la fotografia sia il mio atto politico e come tale voglio utilizzarlo per realizzare cose buone e di valore».

Nei tuoi lavori ritornano diversi temi centrali, per esempio quello della donna e della sfera femminile. Ti piace dare loro letture diverse nel tempo?

«In questo periodo storico il tema delle donne è ricorrente, credo di non averne mai sentito parlare tanto. L’eco dei movimenti rivoluzionari dei primi anni Settanta sembra oggi prendere forma e lentamente passare dalla teoria alla pratica. Desidero essere un ingranaggio di un sistema che lotta per cambiare le cose. Il femminile è uno dei miei temi ricorrenti perché sono donna, ho una figlia femmina e la fotografia è una potente forma di espressione che non posso non sfruttare per raccontarlo».

«Il 25 aprile di quest’anno – data simbolica, non solo perché stavamo uscendo dall’ultimo lockdown – ho realizzato il mio ultimo progetto. Ho accompagnato un gruppo di giovani donne in una meravigliosa campagna marchigiana che si stava risvegliando e le ho invitate a spogliarsi per poterle fotografare in completa connessione con la natura. È stata un’esperienza catartica, assolutamente liberatoria».

Francesca Tilio
Enchantment di Francesca Tilio

«Enchantment, questo il titolo del lavoro, è stato il primo gesto di liberazione dopo mesi di restrizioni e per molte donne anche di violenze, licenziamenti, soprusi. È anche un omaggio a Anne Brigman, fotografa, poetessa, critica, artista e rivoluzionaria. Fu tra le prime a rappresentare il nudo femminile per riconnetterlo alla dimensione ancestrale della natura creatrice e per ridefinire il ruolo della donna nella società dei primi del Novecento».

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