In “Visual journalism. Conflitti. Identità. Impegno” diciassette fotografi si confrontano sul loro metodo di lavoro. Tra loro Alfredo Bosco.

24 Febbraio 2023 di Redazione Redazione

In Visual journalism. Conflitti. Identità. Impegno (Emuse) il giornalista Enrico Ratto intervista diciassette fotografi che, per la prima volta, discutono e si confrontano sul loro metodo di lavoro. Su cosa significhi, in un’epoca assetata di informazioni e immagini, raccontare il mondo che ci circonda attraverso la fotografia, prendendo una ben precisa posizione di fronte agli eventi.

Visual journalism: Enrico Ratto intervista diciassette fotografi

Conflitti, migrazioni, ricerca scientifica, affermazione delle identità… questi e molti altri i temi su cui si confrontano i fotografi oggi. Temi che richiedono un coinvolgimento in prima persona, un “esserci”, che Enrico Ratto fa emergere attraverso le sue interviste.

Jean-Marc Caimi / Valentina Piccinni, Alessandro Cinque, Alessio Paduano, Gabriele Micalizzi, Alfredo Bosco, Lorenzo Tugnoli, Ilvy Njiokiktjien, Bénédicte Kurzen, Paolo Verzone, Carolina Arantes, Christopher Occhicone, Tommaso Protti, Paolo Woods, Éric Bouvet, Aline Deschamps, Fabio Bucciarelli e Chloé Sharrock. Questi i fotografi intervistati.

Tra loro, anche Alfredo Bosco che, da giorni, con il collega Andrea Sceresini è bloccato a Kyiv dopo essersi visto sospendere l’accredito stampa dalle autorità ucraine (nel cui mirino sono finiti anche altri giornalisti italiani con l’accusa ufficiosa di “collaborare con il nemico”). Una vicenda che, una volta di più, accende i riflettori sulla libertà di stampa, sull’impegno e i rischi che il lavoro di fotogiornalista comporta.

“Come tanti altri fotografi” – così raccontava Alfredo Bosco a Enrico Ratto – “sono andato in Ucraina come freelance, senza avere la garanzia di un assegnato. A volte capita anche questo, parti sapendo che potrai trovare lavoro solo quando sarai sul campo. Seguivo l’Ucraina da anni, avevo coperto l’area del Donbass tra il 2014 e il 2017, avevo buoni contatti e sapevo come muovermi, conoscevo le aree più interessanti. Ho fatto il mio lavoro, sono andato, ho fotografato quello che stava succedendo e l’ho proposto ai giornali”. L’intervista completa nel volume Visual journalism.

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