Il bianco e nero di Mario Giacomelli gli consente di cogliere nella realtà il riflesso del suo sentire più intimo.

25 Febbraio 2021 di Redazione Redazione

Per la rubrica Bianco e nero d’autore oggi parliamo di Mario Giacomelli (scopri qui la mostra permanente a Senigallia). L’uomo nuovo della fotografia italiana”, lo aveva definito Paolo Monti, trovandosi al cospetto di alcune delle sue prime stampe. Fin da subito il suo approccio appare rivoluzionario. Sia rispetto al disincanto e all’impegno civile della visione neorealista, sia nei confronti del dogma dell’irripetibilità del momento decisivo di Cartier-Bresson.

Per lui la fotografia non è uno strumento d’indagine sociale o di denuncia, né la testimonianza di un accadimento. È, invece, un mezzo che gli consente di cogliere nella realtà il riflesso del suo sentire più intimo. È nelle piccole cose che popolano il mondo a lui più prossimo che cerca le grandi occasioni per appagare i bisogni della sua anima, prima del suo sguardo.

A me piace questa terra che non ha pace: ora dura e scabra, ora segnata  da tratti densi e incisivi, piena di luce e nera di tristezza. Mario Giacomelli

Bianco e nero, luce e buio

La luce e il buio, il bianco e il nero, sono gli elementi essenziali dell’alfabeto di Mario Giacomelli. Segni che, come l’acqua del romanzo di Andrea Camilleri, non hanno una forma propria ma acquistano, di volta in volta, quella del “contenitore” in cui vengono messi: il contesto, lo stato d’animo, l’urgenza espressiva. È nell’unicità di questo frammento di vita, reale o evocato, che il dialogo infinito tra luce e oscurità, centrale nella poetica di Giacomelli, diventa immagine.

Mario Giacomelli

Nato a Senigallia nel 1925, nel 1934, orfano del padre, comincia a lavorare presso la tipografia di cui diventerà in seguito proprietario. La passione per la fotografia arriva nel 1953. Acquista, infatti, una Comet Bencini con cui realizza i primi scatti. Di lì a poco si iscrive al circolo fotografico “Misa”. Realizza la serie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, alla quale si dedicherà ancora per molti anni. Entra anche nel circolo “La Bussola” con cui espone a Roma, ma presto se ne distacca per diversità di vedute.

Negli anni seguenti, durante alcuni viaggi realizza le serie Lourdes, Loreto, Zingari e Mattatoio. Tra il 1961 e il 1962 in un seminario di Senigallia ritrae i pretini della serie Io non ho mani che mi accarezzino il volto. In seguito si concentra soprattutto sul paesaggio. Le sue immagini di Scanno entrano al MOMA di New York ed espone anche a Parigi, Tokyo, Pechino, Mosca. Negli ultimi anni della sua vita si è dedicato a progetti ispirati a opere letterarie.

di Emanuela Costantini

Scopri qui il Bianco e nero d’autore di Uliano Lucas

Lascia un commento

qui