13 Marzo 2021 di Giada Storelli Giada Storelli

Grazie al suo lavoro, Marco Introini è riuscito a tradurre nella contemporaneità la tradizione dell’illustrazione del libro di architettura. Quella che nel XIV secolo vide nei disegni di John Ruskin sulle architetture italiane, pubblicati su Viaggio in Italia, uno dei suoi più alti esempi.

La sua attenzione si concentra in particolare sul patrimonio architettonico e storico delle nostre città. Prima di ogni scatto l’autore conduce un’approfondita ricerca iconografica del luogo scelto, sperimentando, attraverso diversi bozzetti a mano, gli angoli prospettici prima di decidere lo scatto finale allo scopo di farci scoprire i paesaggi urbani sotto angolazioni inaspettate.

Marco Introini e l’architettura

«Lavoro molto sul patrimonio architettonico, sugli edifici storici, soprattutto su quelle opere che non hanno avuto una fortuna storiografica, ma che hanno dato l’immagine alle nostre città. Questo mi porta ad avere, per formazione, un primo approccio di indagine storica sugli edifici, per cui vado a rivedermi i disegni e l’iconografia di questi. Anche la mia passione per la pratica del disegno la riverso in questa prima fase di ricerca, disegnando diverse prove di prospettive.

In seguito a vari sopralluoghi, camminando nello spazio che in un secondo momento tornerò a fotografare, parte della mia preparazione avviene spesso dalle letture di mappe cartacee e digitali del luogo. Schizzo prospettive che in seguito generano fotografie. Il paesaggio ti bombarda di suggestioni e attraverso il disegno posso fare un’adeguata sintesi di ciò che realmente mi interessa raccontare. Mi piace questo modo di procedere perché mi porta ad avvicinarmi e a conoscere in modo lento ciò che poi fotograferò. Lo ritengo una sorta di rispetto».

Marco Introini

Marco Introini, Mantova, 2015

Un fil rouge

«Come dicevo negli ultimi anni ho lavorato molto sul patrimonio architettonico, ma nello stesso tempo ho sempre allargato i miei orizzonti verso lo spazio del paesaggio, andando molte volte a fondere queste due scale visive. Questo è accaduto, per esempio, in occasione della mia indagine su Milano, dove lavori precedenti sulle architetture si fondono con vedute di spazi urbani.

Il fil rouge è legato alla conoscenza del paesaggio e al desiderio di restituire struttura e storia costruendone una visione. In questo senso, ho sempre considerato la fotografia uno strumento al pari della cartografia per poter leggere il paesaggio, per attivare una presa di coscienza utile anche a chi opera su di esso e sul territorio. Probabilmente il mio filo conduttore è più nell’atteggiamento che nei temi, perché se ripenso all’archivio vedo sia architetture che paesaggi urbani e naturali».

 

Leggi l’intervista completa a Marco Introini su IL FOTOGRAFO n. 328, numero interamente dedicato alla fotografia di architettura. Lo trovi in edicola o in versione digitale qui.

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