Nino Migliori fotografa dal 2006 sculture e bassorilievi del Medioevo e del Rinascimento, testimonianze di storie lontane, eppure fruite quotidianamente nelle numerose città che ospitano i tanti capolavori presenti nel Bel Paese. Opere dal linguaggio sempre più sfuggente ai nostri giorni, pervasi da una connettività caleidoscopica e chiassosa, dalla produzione, così come dal consumo, immediati. I lavori su cui posa lo sguardo Migliori esprimono significati apparentemente lontani e spesso indigesti alla “cultura” fast, si tratta infatti di opere senza cromie, dalla lenta e meditata realizzazione (e fruizione), immobili, che appaiono spesso agli occhi delle giovani generazioni noiosamente austere, nonostante la complessità e l’anticonformismo che ogni capolavoro naturalmente incarna. L’esperienza possibile oggi di fronte a questi monumenti è inoltre radicalmente diversa da quella esperita originariamente dopo il crepuscolo, date le pervasive condizioni di illuminazione con cui sono offerte al pubblico queste sculture.
Nino Migliori riscopre allora un linguaggio muto attraverso una modalità operativa minimale: l’essenzialità di un’inquadratura frontale e la semplice luce di un paio di candele, un modo per riproporre le opere così come erano percepite nelle meditabonde ore notturne dagli autori, e dalla cultura coeva che le ha generate, in primis quella Prisca Theologia o Philosophia Perennis a cui Sigismondo Malatesta si era ispirato nel progettare il Tempio.