Tutto nasce con il reportage di Alex Majoli (Covid on Scene), un racconto dell’Italia da Nord a Sud durante il lockdown. Questa straordinaria mappa visiva apre la pagina del sito covid19visualproject.org. Ma si scoprono anche gli scatti di Simon Norfolk e di Edoardo Delille (Lost Capital e Silenzio) che indagano la bellezza in una Londra e in una Firenze deserte, il lavoro di Gideon Mendel che narra i cambiamenti nella vita delle persone fuori e dentro casa della capitale inglese, il progetto video Afuera attraverso cui il visual artist Luis Cobelo da un terrazzo getta uno sguardo a 180 gradi sul lockdown di Barcellona e molti altri, sempre nell’idea di contribuire a comporre il ricco mosaico della vita in questo particolare presente. Abbiamo chiesto ad Antonio Carloni, direttore di Cortona on the Move, di raccontarci il progetto.
L’idea dell’iniziativa quand’è nata? «L’arrivo del Covid-19 in Italia forma un’unità di misura che fino al 20 di febbraio non significava nulla; da quella data in poi ha avuto un significato fondamentale nelle nostre vite. Da quel momento sono state stravolte completamente le regole del gioco. Noi, organizzatori di festival, abbiamo compreso che la produzione e gestione dell’evento sarebbe diventata sempre più difficile a causa delle nuove norme sanitare e delle regole sul distanziamento. Questo ha necessariamente costretto tutti a una revisione dei piani, rendendoci conto, purtroppo, che il festival non sarebbe più stato realizzabile seguendo le formule degli anni precedenti. Abbiamo preso in considerazione, quindi, una delle ambizioni che avevamo, quella cioè di produrre e presentare ai visitatori contenuti inediti. Pensavamo di introdurre questa modalità gradualmente, in cinque anni, ma l’avvento del Covid-19 ha obbligato a ridisegnare i nostri piani. Siamo riusciti a spostare parte dei finanziamenti destinati al festival e questo lo dobbiamo soprattutto alla sensibilità del nostro sponsor più importante che è Intesa San Paolo e che, anche in quest’occasione, si è rivelato uno straordinario alleato, avendo compreso immediatamente il valore e l’importanza dell’iniziativa».
La vecchia logica del festival rimaneva più stressata da questa situazione e per questo motivo l’intelligenza doveva far trovare il coraggio di lanciarsi in una nuova sfida. Che è poi quello che avete fatto. «Una grande differenza, che è anche quella che distingue Cortona dagli altri festival, è che abbiamo un gruppo fisso di lavoro sull’evento. Quattro persone che si dedicano a tempo pieno e che, nel momento dell’emergenza, hanno compreso il bisogno di cambiare rapidamente rotta. Un pericolo ulteriore era anche quello di non riuscire a far sopravvivere la squadra fino al 2021. Per il primo mese e mezzo, fino a quando non è uscito il sito web, i timori erano molti. Dubbi che si sono dissipati il giorno della conferenza stampa, misurando il grande interesse suscitato. Mi ha fatto un enorme piacere vedere quattrocento persone collegate e desiderose di comprendere appieno la nostra proposta».
Quali sono gli elementi distintivi che definiscono la formula del progetto? «La parte online, di restituzione del contenuto allo spettatore, è costituita da una piattaforma suddivisa in sette capitoli. All’interno di ogni capitolo c’è una parte di commissionati, fotografia o video, una parte di contenuti estrapolati dai social network relativi a quel determinato argomento e una parte di contenuti extra che arrivano dalla stampa internazionale. Il meccanismo è che noi commissioniamo dei progetti ai fotografi che riteniamo adatti, donando poi ai magazine le immagini – per questo abbiamo dei media partner molto autorevoli tra cui D – la Repubblica e Stern – che pubblicano il servizio prima che sia stato caricato sulla piattaforma. Questo, da un lato, serve a dare lavoro ai fotografi e, dall’altro, a dare visibilità al progetto. Il 18 maggio è partita una open call sempre aperta e realizzata in collaborazione con Lens Culture, che è l’unico attore internazionale presente in ogni continente. Faremo uno screening ogni 15 giorni dei progetti inviati per poi pubblicare sulla piattaforma quelli più interessanti».
Quali sono stati i primi lavori che avete esposto? «Il primo di tutti è stato quello di Alex Majoli al quale abbiamo chiesto di continuare il viaggio in Italia che aveva iniziato per Vanity Fair America offrendo il suo sguardo sulla Sicilia. Lui ha subito risposto con entusiasmo, sia perché ha compreso l’importanza del progetto, sia per la condizione di assoluta libertà realizzativa. In tre settimane ha attraversato la penisola, passando per Roma, il confine con la Slovenia, Novara, Bergamo, Milano e Bologna. Un commissionato vero e proprio che costituisce il capitolo zero intitolato Una visione d’insieme perché offre proprio una panoramica generale di tutto quello che è accaduto nel primo mese della pandemia. Le sue immagini affrontano la crisi sanitaria, le difficoltà vissute dalla popolazione più povera, il problema religioso, le frontiere chiuse. Dopo Alex, abbiamo chiamato Simon Norfolk per testimoniare quello che stava accadendo a Londra. Jérôme Sessini, invece, è entrato negli ospedali del Nord-Est della Francia. Al momento abbiamo otto lavori online e altri dodici in arrivo nelle prossime settimane, più la call. Inoltre, alcuni fotografi, tra cui Andrea Frazzetta, hanno espresso il desiderio, una volta terminate le pubblicazioni, di lasciare al nostro archivio i loro reportage».
di Giovanni Pelloso