7 Settembre 2016 di Redazione Redazione

di Giovanni Pelloso


Non è un corrispondente e nemmeno un fotografo di reportage, almeno nel significato più classico del termine. È, a ben vedere, uno storyteller, un ricercatore sociale e un fotografo consapevole del proprio impegno civile. «Lavoro sulla cronaca – racconta –, però, senza alimentarla. Sto sempre sul filo della cronaca, facendola invecchiare, in un certo senso. È un po’ come il vino; quando invecchia, quantomeno, diventa più interessante. Così le mie storie, viste senza l’affanno dell’attualità, del fatto quotidiano, consentono un diverso approccio e un percorso di approfondimento che non vive sull’istante». Dalla Turchia al Maghreb, Andrea Kunkl ha attraversato i territori alla ricerca di quei confini che separano il Nord dal Sud, l’occidente votato al progresso e alla globalizzazione dal resto del mondo, il benessere dalla povertà e dalla tragedia. Ha vissuto nella giungla di Calais per oltre un mese convinto che non ci sia altro modo di entrare nelle storie se non partecipando alla vita del luogo e condividendo la quotidianità con i protagonisti dei propri racconti. «Con il passare dei giorni si creano dei rapporti di conoscenza e di amicizia. Solo allora – come dice lui – la fotografia diventa naturale. Rimane, comunque, un’aggressione. È difficile entrare nelle vite degli altri. Almeno per chi ha un minimo di sensibilità. Non è doloroso solo se sei un robot. E ce ne sono. Cerco sempre, nel mio lavoro, di non tradire la fiducia di nessuno».


«I siriani arrivano dalla Turchia via mare. Ad Atene ricevono un visto per un mese. Da lì devono andare, se hanno soldi, con un bus a Idomeni, altrimenti a piedi. Sono quattrocento chilometri. A Idomeni ci sono dei soldati macedoni che vedono i documenti e decidono, in pochi secondi, se passi o non passi».


Quando è iniziato il tuo progetto?
«L’ottobre scorso. Andai a Lampedusa per curare la sezione fotografica di un festival del cinema. Realizzai l’installazione Conscius a walk in Lampedusa. Quello fu, senza averne piena coscienza, il primo passo. Mi interessava capire, dalle persone che attraversano il confine, qual era la loro percezione e cosa produceva in loro. E come il confine serve, grazie ai media, ad accendere le luci dell’immaginario, a istituire una sorta di ribalta teatrale. Utilizzavo per la prima volta la tecnica del flusso di coscienza, registrando di spalle il mio interlocutore mentre cammina e racconta il suo vissuto. Capii la forza di quel format soprattutto nell’ottica di una più ampia ricerca, in quanto risultava riproducibile e comparabile».

Dinko Valed è un wrestler e sfasciacarozze bulgaro, nonché eroe nazionale. Ogni weekend con il suo quad perlustra il confine turco-bulgaro alla ricerca di migranti. Quando li trova, li picchia e, poi, li consegna alla polizia. È la sua caccia privata e per questo gli sono riconosciuti 25 euro a persona. Gli antieroi sono tra i prodotti del confine, individui sempre alla ricerca di vantaggi materiali e morali. © Andrea Kunkl

Dinko Valed è un wrestler e sfasciacarozze bulgaro, nonché eroe nazionale. Ogni weekend con il suo quad perlustra il confine turco-bulgaro alla ricerca di migranti. Quando li trova, li picchia e, poi, li consegna alla polizia. È la sua caccia privata e per questo gli sono riconosciuti 25 euro a persona. Gli antieroi sono tra i prodotti del confine, individui sempre alla ricerca di vantaggi materiali e morali. © Andrea Kunkl


«Amo realizzare lavori di lungo periodo, di uno o due anni, perché mi permettono di avere un campo visivo più ricco e allargato. Più preciso» Andrea Kunkl


Perché il confine è al centro della tua indagine?
«Mi interesso dei confini sin dal tempo dell’università. C’è di tutto. È un luogo di contenimento, di identificazione, di detenzione, di passaggio. Ritengo che il confine sia, tra le altre cose, anche un luogo della spettacolarizzazione. Un teatro dove si accendono e si spengono le luci dell’immaginario. Una forma di prodotto mediatico funzionale a chi persegue degli obiettivi, grazie a una rappresentazione capace di colpire lo stomaco di chi guarda la televisione e legge i giornali. Ciò incide sulle decisioni politiche – per esempio, di controllo dei flussi migratori – e sull’opinione pubblica. I confini si aprono e si chiudono. Significa che quando se ne chiude uno, la gente si sposta alla ricerca di altri punti per poter attraversare e proseguire nel cammino della speranza. Interessano i movimenti di massa. Ci sono ampi margini di guadagno per chi agisce sulle persone bloccate ai confini. Ho visto storie veramente dolorose. C’è la questione dei documenti. Ci sono i trafficanti, gli scontri, i respingimenti, le violenze. Qualche mese fa ero a Idomeni, al confine tra la Grecia e la Macedonia. Ho visto famiglie divise, uomini e donne stremati. Gente bloccata, impossibilitata a proseguire. Non avevano nulla, nemmeno un riparo per la notte. Ho visto dei morti. Gente che, respinta, si è suicidata, impiccandosi a un palo della luce. Non le ho fotografate perché ritengo che non sia rispettoso per la persona e perché queste immagini non fanno che alimentare un immaginario mediatico che, alla fine, fa il gioco di chi, da questa condizione, vuole trarne beneficio. Il dolore è business. Molti guadagnano sulle disgrazie altrui».

I bambini sono l’elemento chiave dell’immaginario del confine, servono a toccare la “pancia della gente”. Sono dolci, ingenui, genuini. La rappresentazione dei bambini è funzionale a strategie geopolitiche ben precise. In questa immagine, due fotografi scaricano raffiche di foto su questi bimbi, fino a farli piangere. Momento perfetto per la costruzione e la riproduzione dell’immaginario. © Andrea Kunkl

I bambini sono l’elemento chiave dell’immaginario del confine, servono a toccare la “pancia della gente”. Sono dolci, ingenui, genuini. La rappresentazione dei bambini è funzionale a strategie geopolitiche ben precise. In questa immagine, due fotografi scaricano raffiche di foto su questi bimbi, fino a farli piangere. Momento perfetto per la costruzione e la riproduzione dell’immaginario. © Andrea Kunkl


«Il dolore è parte della realtà e l’unico modo per affrontarlo credo sia la bellezza» Andrea Kunkl


Come è composto il tuo lavoro?
«Il lavoro è diviso in tre livelli. I primi protagonisti sono quelli che partecipano ai soliloqui. Appartengono al cuore della ricerca. Percorrendo degli ambienti, raccontano in stream of consciusness, in flusso di coscienza, la loro esperienza. Il loro è un pensiero espresso ad alta voce. Non mostrando il volto, non sono identificabili e questo serve per due ragioni. Da un lato, offre l’anonimato e quindi una maggiore libertà di raccontare il loro trascorso – ricordo che temono sempre possibili ritorsioni nei Paesi di origine verso i membri della famiglia rimasti a casa –, dall’altro, non stimola nessuno a indossare la maschera della falsa personalità, premiando la sincerità, senza temere il giudizio altrui. Il lavoro comprende anche altri protagonisti, ovvero, gli antieroi; sono persone che hanno tratto e traggono dei benefici personali attraverso il confine. Attraverso la strumentalizzazione del confine. Terzo e ultimo protagonista è il paesaggio, il luogo del succedersi degli eventi».

A Idomeni incontro questa persona che arriva a piedi dalla Siria. Nella sua vita precedente, poco prima di fuggire, giocava a calcio nella nazionale siriana. Era amato e riconosciuto come Balotelli. Ora scappa dalla guerra civile che distrugge da cinque anni il suo Paese. Tutto è stato travolto e catapultato dentro un baratro di morte e di violenza. Noi europei dovremmo riflettere su quanto sta accadendo. © Andrea Kunkl

A Idomeni incontro questa persona che arriva a piedi dalla Siria. Nella sua vita precedente, poco prima di fuggire, giocava a calcio nella nazionale siriana. Era amato e riconosciuto come Balotelli. Ora scappa dalla guerra civile che distrugge da cinque anni il suo Paese. Tutto è stato travolto e catapultato dentro un baratro di morte e di violenza. Noi europei dovremmo riflettere su quanto sta accadendo. © Andrea Kunkl


«I miei lavori sono transmediali; utilizzo e intreccio differenti media. Sommo principalmente fotografia e video. La destinazione prima del materiale raccolto è un sito web dedicato». Andrea Kunkl


Hai vissuto un mese e poco più nella giungla di Calais. Raccontami di questa esperienza.
«Calais è un paese nel Nord della Francia che si affaccia sulla Manica. In questo momento ci sono più di diecimila migranti che stanno cercando di andare in Inghilterra. Sono persone che giungono dall’Iran, dalla Siria, dal Pakistan e da altre nazioni. A piedi o con mezzi di fortuna hanno attraversato vari confini per giungere fin lì, in attesa di varcare quel lembo di mare. Sono persone mosse dalla speranza, quella di vivere come noi. Ne avrebbero il diritto. La giungla è un villaggio particolarmente duro, fuori dal controllo dello stato francese, dove i bianchi non contano nulla. Questo vale anche per gli appartenenti alle organizzazioni non governative, per i fotografi, per i giornalisti. È molto pericoloso e, allo stesso tempo, molto interessante. È un luogo impossibile da sgomberare perché contiene diecimila migranti, di cui molti hanno esperienza di guerra e quindi a ogni tentativo di sgombero c’è una reazione organizzata. Ho avuto la possibilità di seguirli e di filmarli in varie occasioni. Lì, nella disperazione e nella fame, funzionava molto spesso il baratto e c’era qualcuno che aveva aperto anche un ristorantino».

Le persone al confine sono respinte per infiniti motivi. Se bloccati, devono ricominciare da capo. Pagare i coyote, se hanno soldi, e recarsi ad Atene per rifare i documenti, per poi riprovare a passare verso la Macedonia mentre le maglie si restringono. Nel momento dello scatto, solo iracheni, afghani e siriani potevano transitare. Ora solo iracheni e siriani perché la guerra in Afghanistan pare che sia finita. © Andrea Kunkl

Le persone al confine sono respinte per infiniti motivi. Se bloccati, devono ricominciare da capo. Pagare i coyote, se hanno soldi, e recarsi ad Atene per rifare i documenti, per poi riprovare a passare verso la Macedonia mentre le maglie si restringono. Nel momento dello scatto, solo iracheni, afghani e siriani potevano transitare. Ora solo iracheni e siriani perché la guerra in Afghanistan pare che sia finita. © Andrea Kunkl


Andrea Kunkl
andrea_foto_BIONato a Milano nel 1980, è laureato in Sociologia con una tesi sull’urbicidio asimmetrico in Palestina. Collabora con il laboratorio di Sociologia visuale di Milano Bicocca. Crede nella collaborazione tra individui, fondando insieme ad altri amici Habitat ed Exposed, due progetti partecipati, inclusivi, corali e di lungo periodo. Oltre a Crepe, insieme a Giuseppe Fanizza e a Giorgia Serughetti ha prodotto Mare Nostrum. Sta documentando il ritorno dell’eroina nelle strade di Milano e il nuovo nomadismo metropolitano. Dal 2012 al 2014, a causa di una malattia autoimmune, si ritira in una capanna nella giungla indiana, tra cobra, pavoni e spiriti della foresta. Nell’ultimo anno ha partecipato a Cortona On The Move e alla mostra Exposed Project negli spazi di Forma Meravigli.


Per i lettori de Il Fotografo, Andrea Kunkl ha prodotto un cortometraggio del progetto visibile alla pagina http://borderblob.com

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