6 Settembre 2019 di Vanessa Avatar

Quando nel 1968 Ann e Jürgen Wilde si ritrovarono tra le mani il menabò originale di quello strano progetto editoriale, intitolato Ci-contre, devono aver intuito subito l’eccezionalità di quel ritrovamento. Le modalità di impaginazione, i materiali utilizzati, il pensiero soggiacente e il tipo di immagini e testi mostrati, avevano infatti già lasciato nelle loro menti esperte ben pochi dubbi circa l’autenticità, e assoluta rarità, di ciò che avevano di fronte, tuttavia è logico supporre sia stato soprattutto il non riuscire a ricordare nessuna pubblicazione corrispondente ad accendere definitivamente il loro interesse. Ma quello che i due collezionisti tedeschi probabilmente non avevano immaginato al momento dell’acquisto di quel bizzarro protolibro è che sarebbero stati proprio loro, giusto qualche decennio più tardi, a scrivere l’ultimo capitolo della sua storia. Una storia avvincente, in odor d’avanguardia, iniziata a Parigi ben trentasette anni prima, ovvero sul finire di un movimentato 1931. All’epoca, il fotografo lituano Moses Vorobeichic aveva appena cambiato il proprio nome in Moï Wer. Era reduce dal suo secondo successo editoriale – un libro di stampo avanguardista intitolato Paris – ma ciononostante era deciso a iniziare subito un altro grande progetto fotografico. Si mise al lavoro e, nel giro di tre mesi, ne inviò il menabò definitivo a Franz Roh, noto professore di Storia dell’Arte a Monaco nonché direttore della collezione Fotothek. Era un progetto ambizioso, che sviluppava ulteriormente i principi fotografici già adottati nel precedente e dettati dalle nuove avanguardie del periodo, nate in seno al Bauhaus in seguito alle teorizzazioni di László Moholy-Nagy sulla cosiddetta nuova visione.

Ci-contre: un lavoro complesso, poetico e intriso dello spirito visionario del tempo

Intitolato Ci-contre, esso proponeva un’originale concatenazione di libere associazioni di idee attraverso centodieci immagini dalla composizione ricercata, spesso frutto di doppie esposizioni e connotate da punti di vista ed elaborazioni grafiche ancora inusuali per l’epoca. Vere e proprie visioni della realtà, che Wer aveva adeguatamente inserito in pagina secondo uno schema estremamente dinamico e di chiara ispirazione cinematografica. Un lavoro complesso, poetico e intriso dello spirito visionario del tempo, che non lasciò indifferente Roh, il quale si mise subito in cerca di un editore. Gli sconvolgimenti politici dell’epoca ne impedirono però la sua immediata pubblicazione e, nel 1933, Wer perse ogni contatto con Roh e, con lui, ogni traccia del suo progetto. Dando per persa quella prima stesura, tra il 1940 e il 1945 ne tentò una seconda, ottenendo però qualcosa di molto diverso: l’impronta del Bauhaus e degli insegnamenti di Albers erano molto meno evidenti e l’accento discorsivo, prima posto sulle nature morte e sull’architettura, cadeva ora su quell’umanità rimasta quasi involontariamente impigliata nel suo obiettivo. Ma anche questo secondo progettoeditoriale non vide mai la luce e, a partire dal 1950, il nome di Moï Wer iniziò a sprofondare lentamente nell’oblio. Arriviamo così al 1968 e al giorno in cui i Wilde acquistarono la bozza originale di Ci-contre, proprio quella rimasta a lungo dimenticata nelle mani di Roh e finita chissà come nelle loro. Conquistati da quel progetto, si misero subito in cerca del suo autore, ma solo nel 1972, dopo anni di intense ricerche, scoprirono che Moï Wer aveva cambiato nuovamente il proprio nome: ora si chiamava Moshe Raviv e, ormai da decenni, viveva in Israele. Gli scrissero una prima lettera in quello stesso anno e per Vorobeichic/ Wer/Raviv fu una gioia immensa scoprire che quel menabò si era in qualche modo salvato dalla furia del tempo. Lieto fine, dunque? Solo in parte. La corrispondenza tra l’ormai dimenticato fotografo lituano e i due collezionisti tedeschi andò infatti avanti ancora a lungo, ma quando nel 2004 i Wilde pubblicarono finalmente la prima edizione di Ci-contre, dopo aver superato mille altre peripezie e averne acquistato tutti i diritti, il suo autore era purtroppo già morto da tempo.
Di Stefania Biamonti

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