6 Agosto 2019 di Vanessa Avatar

Cindy Sherman è una delle artiste più importanti del nostro tempo, con un corpo di lavoro rappresentativo della Pictures Generation – artisti che operano nell’era della proliferazione delle immagini dei mass media, negli anni Ottanta.
L’artista si trasforma in modella, fotografa, direttrice di scena, make-up artist e parrucchiera, divenendo, al tempo stesso, autrice e soggetto dei propri scatti. É un’opera di trasformazione che la porta a incarnare ruoli sempre diversi: dalla casalinga remissiva e bisognosa d’aiuto, alla dama di corte o madonna di altre epoche, dall’aristocratica annoiata e felice di ostentare il proprio potere alla donna contemporanea iper-truccata ed eccessivamente abbronzata, fino alle figure grottesche di clown provenienti dal mondo degli incubi.

Cindy Sherman: la fotografa che che mette mette in discussione il concetto di identità

Con la sua instancabile capacità performativa, di immedesimazione e sofisticata restituzione dei differenti “tipi umani”, la Sherman mette in discussione il concetto di identità, di rappresentazione e il ruolo esercitato dalle immagini nella nostra cultura contemporanea. Negli scatti simulazioni di foto di scena, foto di moda, pubblicità, rigorosamente in bianco e nero, nelle quali l’artista interpreta ogni volta un ruolo differente, che sembra essere tratto da un film inventato. La storia non c’è, l’atmosfera è quella del cinema USA degli anni Cinquanta, con riferimento in particolare ai B-movies, ad alcuni film di Hitchcock e alla commedia sentimentale. Messe in scena che sollevano una serie di questioni rilevanti relative a diversi temi, quali la rappresentazione stereotipata della figura femminile (costituitasi nel corso del tempo attraverso l’immaginario del cinema, della televisione e delle riviste femminili), la presunzione di realtà della fotografia, il rapporto tra quest’ultima e il cinema. L’artista mette in luce il carattere ambiguo della fotografia, lo spettatore, infatti, è posto di fronte all’incapacità di decodificare l’oggetto che si trova a osservare, non essendo chiaro se si tratti effettivamente di un fermo immagine di un film del passato o di una fotografia scattata di recente. Emerge, inoltre, in questo tipo di fotografie il gusto tipico dell’era postmoderna per la citazione colta o popolare: la Sherman non ha paura di giocare coi codici della cultura alta e bassa, della fotografia e più in generale della rappresentazione. Il suo esempio è importante poiché, al di là della riflessione specifica sull’identità e sul corpo, in esso prende forma la concezione della fotografia come messa in scena della realtà, anche attraverso l’appropriazione dei linguaggi e delle immagini provenienti dalla propria storia o da altri ambiti artistici. Ed è proprio a partire da questo tipo di riflessioni e dalla rivendicazione della natura ambigua della fotografia e dalla sua trasformazione in valore concettuale e operativo, che prenderanno avvio le ricerche della Staged Photography contemporanea.

Di Francesca Marani

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