31 Gennaio 2019 di Vanessa Avatar

Le Fate di Cottingley

Il film inglese Photographing Fairies (1997) di Nick Willing, tradotto in italiano con il titolo Fotografando i fantasmi, racconta di un fotografo, Charles Castle, che perde la moglie durante la luna di miele. Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, un giorno Charles si reca alla società Teosofica di Londra, sede di ricerca e credenza spiritista, dove si stanno proiettando delle foto in bianco e nero che ritraggono una bambina con delle fate. È lì per smascherare l’inganno: «Sono un fotografo e, come tutti voi, vado alla ricerca della verità!». Il fotografo spiega ai presenti che le fotografie sono un falso, cioè il risultato di un fotomontaggio, e svela l’arcano facendo notare alcune incongruenze tecniche. Un signore, presente tra il pubblico, si alza per rispondergli: è Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes. Successivamente lo scettico Charles sarà avvicinato da una donna che gli mostrerà cinque foto delle proprie figlie con le fate. Anche lui, nel corso del film, riuscirà a vedere le fate e a fotografarle.

Cinema e Fotografia: Le Fate di Cottingley

Lo sviluppo narrativo di Fotografando i fantasmi , una sorta di dark fantasy, non è dei migliori ma il film si ispira a una storia vera, rimasta negli annali con il nome di Le Fate di Cottingley : nel 1917 le sorelle Wright di dieci e sedici anni, che vivono nel villaggio inglese di Cottingley, per scherzo scattano cinque fotografie che le ritraggono in compagnia di fate e gnomi. E la cosa finisce lì. Poi nel 1919 la loro madre presenta le fotografie alla Società Teosofica di Londra e nel 1920 arrivano in manoa Sir Arthur Conan Doyle, scrittore da tempo famoso in tutto il mondo che, dopo varie indagini, sostenne la loro veridicità scrivendo un articolo per la rivista Strand che pubblicò anche le fotografie. Il titolo non lasciava dubbi: Fate fotografate – Un evento epocale . L’articolo ripreso da altre testate, fece scoppiare il caso mediatico, grazie soprattutto all’autorevolezza di colui che l’aveva scritto. Questo fatto, oggi piuttosto sconcertante, andrebbe però collocato in un quadro più ampio: il fatto avviene in Inghilterra dove lo spiritismo si era diffuso ampiamente già durante il periodo vittoriano e moltissimi intellettuali, oltre a Conan Doyle, all’epoca si interessarono di studi psichici. Alla fine dell’Ottocento lo spiritismo cadde in disuso per poi tornare in auge durante il primo conflitto mondiale e nel primo dopoguerra come espediente per elaborare il dolore per i milioni di morti. Le famiglie traumatizzate, che non potevano neppure piangere il loro congiunto in una tomba, ricercano nelle sedute spiritiche un contatto che le consoli. L’autorevolezza di Sir Arthur Conan Doyle, che oltre allo spiritismo avvallava anche la veridicità delle foto con le fate, era una ragione a cui appellarsi  per avere la conferma dell’esistenza di un aldilà da cui potessero effettivamente provenire le voci dei propri cari. La guerra aveva duramente segnato anche Conan Doyle che aveva perso il suo primogenito Kinsley, il fratello e il cognato e, motivato dal suo vissuto personale, non solo frequentava sedute spiritiche per mettersi in contatto con loro ma tenne anche  conferenze sulle sue esperienze spiritistiche in Inghilterra e in tutto il mondo. Fotografando i fantasmi , che si dilunga sulle vicende del fotografo che vuole immortalare le fate, racconta purtroppo in una sola scena un fenomeno che, a mio avviso, fu tra i più importanti del periodo e anch’esso legato alla fotografia. Poiché in quell’epoca si andava solo raramente dal fotografo, visto il costo, normalmente non si avevano molte foto con i propri familiari. Fiorirono così molti studi fotografici specializzati in fotomontaggi: la madre e il padre potevano farsi fotografare in compagnia di un terzo, vestito da militare, a cui veniva poi sostituito il viso con quello del figlio morto in guerra. In questo modo si creava uno scatto mai avvenuto ma consolante per i vivi. L’unico conforto per coloro che purtroppo non avevano la foto del loro congiunto da usare nell’arte del fotomontaggio, restava quello di accarezzare il nome del figlio o del marito su uno dei numerosi monumenti commemorativi. Tornando alle fate di Cottingley, le due sorelle vissero a lungo e furono intervistate varie volte nel corso del secolo. Soltanto alla fine degli anni Ottanta, Francis, la più giovane, ammise la verità: avevano effettivamente realizzato un fotomontaggio usando le illustrazioni di fate e gnomi ritagliate da un libro della madre. Lo scopo dello scherzo era quello di far credere agli adulti l’esistenza delle fate poiché non ci credevano, pur sostenendo l’esistenza di Babbo Natale.


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