30 Maggio 2019 di Vanessa Avatar

Mettiamoci d’impegno e cerchiamo elementi che possano riempire e dare vita al primo piano: guadagneremo profondità, senso delle proporzioni e impatto.

Il grande fotografo di guerra Robert Capa una volta disse che se una foto non è abbastanza buona, significa che non si è andati abbastanza vicino.  Lui, ovviamente, parlava della cattura del dramma di un conflitto e della necessità di arrivare al cuore dell’azione – un approccio che alla fine gli costò la vita. La stessa massima però può essere applicata anche alla fotografia paesaggistica: se vogliamo cogliere la spettacolarità di una scena, dobbiamo avvicinarci e fare buon uso del primo piano, uno degli elementi cardine di una composizione dinamica. Il primo piano è utile per diversi motivi: il più importante è che l’enfasi sul primo piano dà alle immagini il senso delle distanze e delle proporzioni. È una questione prospettica: gli elementi più vicini appaiono più grandi di quelli lontani e in un’immagine il cervello registra che gli elementi più piccoli devono essere distanti, così che noi vediamo la scena quasi in tre dimensioni. Il secondo motivo è che il primo piano rappresenta il punto di ingresso nella composizione per lo sguardo dell’osservatore, che poi attraversa la scena fino al punto focale o allo sfondo. Un’immagine riuscita ha bisogno di un “amo” che attiri l’osservatore e  ne trattenga l’attenzione.  Nei paesaggi, è rappresentato dal primo piano. La terza ragione è che il primo piano contiene più informazioni del resto della scena e la vicinanza permette di documentare i dettagli senza l’intervento di foschia, nebbia o atmosfera.

Gli obiettivi grandangolari

Gli obiettivi grandangolari permettono di sfruttare al massimo gli elementi di interesse in primo piano perché consentono di includere nello scatto anche gli oggetti che si trovano letteralmente ai nostri piedi. La distorsione prospettica creata dai grandangoli poi, fa sì che questi oggetti incombano grandissimi sulla scena, con tutto il resto che rimpicciolisce in distanza. Più il punto di vista è basso, più il primo piano risulta dominante. Le ottiche con una lunghezza focale sui 16/18 mm (24/28 mm con sensore full-frame) sono una scommessa sicura perché sono abbastanza ampie da includere abbondante primo piano senza esserlo tanto da lasciarci solo  il primo piano. Quando avremo preso confidenza, potremo scattare immagini sensazionali con obiettivi ultragrandangolari, sui 10/15 mm (15/22 mm su full-frame), ma per riuscirci dovremo arrivare davvero molto vicini al primo piano, per evitare che sembri a sua volta distante a causa dell’eccessiva distorsione della prospettiva.

I teleobiettivi

I teleobiettivi sono meno dinamici, perché gli elementi che possiamo includere sono comunque ovviamente lontani e perché la compressione della prospettiva tende a schiacciare i piani, con il risultato che i tele non riescono a dare lo stesso senso di distanza e tridimensionalità dei grandangoli. L’effetto però può comunque essere potente, con un singolo elemento a dominare la scena.

Ma cosa possiamo includere? Praticamente tutto: rocce, fiumi, muretti, cancelli, staccionate, barche ormeggiate, increspature di sabbia, riflessi, persone… Gli elementi che creano linee naturali o implicite funzionano meglio, perché guidano lo sguardo dentro e attraverso la scena. Le linee verticali funzionano bene, quelle che corrono in diagonale dal basso a sinistra all’alto a destra anche meglio, quelle convergenti (come quelle formate da rotaie o rettilinei) sono più forti di tutte. Per sfruttare al massimo le linee verticali e quelle convergenti, scattiamo appunto in verticale, mentre alle diagonali si adatta meglio il formato orizzontale, per dare loro più spazio in cui tenere e guidare l’attenzione dell’osservatore

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