Una parentela poco conosciuta, e certamente la più antica, tra la fotografia e il cinema è costituita dal Panorama , invenzione dell’inglese Robert Barker. Nel 1787, il pittore espose a Edimburgo una enorme veduta panoramica della città dipinta intorno alla parete interna di una rotonda che, vista dal centro della stanza, dava allo spettatore un’illusione di immersione nella realtà. Sebbene le vedute panoramiche si possano far risalire all’arazzo di Bayeux (XI sec.), la novità risiedeva nel collocare una tela dipinta, montata su una superficie curva in una stanza circolare, allo scopo di ingannare l’occhio dell’osservatore, facendogli credere di partecipare a una nuova realtà. Con il passare degli anni questa illusione ottica fu perfezionata grazie alla creazione di effetti ottenuti con una sapiente e articolata illuminazione della scena. Dalla fine del XVII secolo alla metà del XIX secolo, i panorami e le relative forme di illusionismo visivo (mondo nuovo, polyrami, panorami in movimento, peep-show ) diventarono un vero e proprio strumento di intrattenimento di massa che coinvolse diverse città europee e americane.
Vedute ottiche e Louis Daguerre
La storia delle vedute ottiche è strettamente intrecciata alla nascita della fotografia e addirittura uno dei suoi padri illustri, il francese Louis Daguerre, partì da questo concetto per giungere all’invenzione della lastra impressionata direttamente dalla luce: il dagherrotipo . Egli, riprendendo il concetto della visione panoramica e influenzato dagli sviluppi che questa moda ebbe fino alla seconda metà del Settecento – si ricorda per esempio l’effetto ottico del giorno e della notte che sfruttava colorazioni e fessure eseguite sul retro della tela – brevettò nel 1820 , assieme al pittore Charles Marie Bouton, il Diorama. Inaugurato a Parigi l’11 luglio 1822, il Diorama era un vero e proprio teatro, un palazzotto costruito vicino all’attuale Place de la Republique. Lo spettacolo consisteva nel contemplare le vedute di Parigi dipinte su grandi tele traslucide che misuravano circa settanta metri di larghezza e quarantacinque di altezza. Le tele, arricchite negli anni anche da altri soggetti, erano colorate su entrambi i lati e illuminate da diverse angolazioni. La scena si trasformava cambiando le luci con un ardito sistema di persiane e di schermi luminosi; la visione del dipinto frontale svaniva, rivelando l’immagine colorata sul verso semi-trasparente. Il pubblico seguiva trepidante l’avvicendarsi delle vedute sull’enorme schermo. L’effetto era sorprendente. Le scene che prima apparivano alla luce del giorno, mutavano e si mostravano al chiaro di luna. Era possibile assistere allo spettacolo di un treno in corsa che, con un cambio repentino di illuminazione, lo si scopriva deragliato in un dirupo. Daguerre e Bouton dipinsero ciascuno una decina di enormi tele e il successo crebbe fino al 1830, quando Bouton volle uscire dalla società chiedendo all’ex socio il pagamento delle tele da lui create. Risentendo dei problemi economici dovuti a tale risarcimento, Daguerre iniziò a dedicarsi alla ricerca di un modo meccanico per ottenere queste vedute. Gli studi lo condurranno alla scoperta e alla diffusione del dagherrotipo, lo stesso anno in cui il suo Diorama, nel marzo del 1839, andò distrutto a causa di un incendio assieme alle preziosissime tele
Polyrama Romano Alexandre Depoletti,
Roma, 1830 ca. Interno del Polyrama da viaggio romano
Coll. Marco Antonetto