La fotografia è un insieme di tante cose, un processo culturale in continuo cambiamento. Chi s’illude di poterla definire in modo ultimativo, per relegarla magari a qualche funzione pratica, rimarrà profondamente deluso, perché il futuro della fotografia è ancora tutto da scrivere. Partecipare a questa continua mutazione è diventata una vicenda sempre più affascinante. Aderire a questa affermazione significa riconoscere che gli ambiti della fotografia si sono ampiamente allargati e che per comprendere la complessità del linguaggio delle immagini bisogna scoprire e aprirsi a nuovi orizzonti e guardare, senza timori, alla filosofia, alla storia, all’estetica, all’economia, alla musica e, naturalmente, al cinema e alle arti figurative. Insomma, è necessario ridefinire e riscrivere il lessico di riferimento della fotografia. Senza presunzione, da tempo, lavoro per coniugare la potenza delle immagini con la forza rigenerante delle altre scienze, umanistiche o scientifiche non ha importanza.
Giusto per avere qualche riferimento: Robert Frank ha incontrato la Beat Generation, la musica con Rolling Stone. Henri Cartier-Bresson ha incrociato la pittura ed è Matisse l’artefice della copertina del suo libro più celebre: Image a la Sauvette. Il suo percorso creativo prosegue con la letteratura e con i tantissimi amici scrittori e poeti. Un’esperienza raccolta nell’indimenticabile libro Immagini e Parole. Una fascinazione, quella della parola, forse iniziata con Jean Paul Sartre che, per Cartier Bresson, scrisse una meravigliosa introduzione al libro Da una Cina all’altra. Resta comunque un fatto fondamentale e trasversale.
Chi ha scritto importanti riflessioni sulla fotografia, non si occupava di fotografia per professione. È il caso di Roland Barthes, John Berger, Susan Sontag, Giselle Freund, Vilem Flusser, Walter Benjamin e molti altri che, affascinati dalla forza dirompente delle immagini, hanno cercato possibili declinazioni e intrecci con altre discipline. Tutto questo non significa affatto che la fotografia debba sentirsi in una condizione di sudditanza. Anzi, basta rileggere cosa scrisse Alberto Savinio negli anni Trenta: «… quando la fotografia fu inventata, sembrò che il mondo da un alto sonno si levasse… l’invenzione della fotografia segna un punto di trasformazione nella storia dell’umanità, supera per certi riguardi la conquista di Costantinopoli, la scoperta dell’America, altre “chiavi” di volta della storia…». Insomma, per fare buone fotografie bisogna avere qualche cosa da dire. E per avere qualche cosa da dire d’interessante, bisogna conoscere il mondo e costruire relazioni capaci di dialogare con i nostri sentimenti. Proseguo nel mio impegno di dialogo diretto con i lettori, con due segnalazioni o, meglio, due consigli: un libro e una mostra.