La prestigiosa Accademia Carrara di Bergamo ospita fino al 31 agosto 2025 la celebre Pala di San Bernardino, uno dei capolavori più amati del grande artista veneziano. Opera recentemente restaurata ed eccezionalmente presentata con la mostra Dentro Lorenzo Lotto, l’esposizione della Pala si accompagna agli scatti evocativi del fotografo tedesco Axel Hütte. Di seguito, riportiamo parte dell’intervista che lo ha visto protagonista, condotta dalla curatrice e Direttrice di Accademia Carrara, Maria Luisa Pacelli.
Come sei arrivato a questa esperienza che ti ha portato al cospetto di Lorenzo Lotto?
È stato un percorso lungo. Da studente, ho iniziato esplorando l’architettura urbana. Dapprima le stazioni della metropolitana di Berlino, poi ho dedicato una serie agli atri di edifici degli anni Cinquanta. Successivamente, grazie a una borsa di studio ottenuta a Londra, ho potuto approfondire lo sguardo sulla città, concentrandomi tanto sull’architettura quanto sulla street photography. In seguito, un’altra borsa di studio mi ha portato a Venezia, dove ho vissuto un’esperienza che ha determinato una svolta. Inizialmente vagavo per la città senza un’idea precisa, entravo nelle chiese per trovare un pò di tranquillità. Con il tempo, però, ha iniziato a farsi strada il desiderio di fotografare tanto gli interni delle chiese quanto quelli dei palazzi veneziani, un’opportunità rara che è stata possibile grazie ad alcune conoscenze. Un’altra esperienza significativa, sempre a Venezia, è stata alla Chiesa dei Frari, dove ho fotografato il coro della Basilica.
Quindi il tuo interesse per soggetti di questo tipo si è sviluppato per gradi, nel corso del tempo?
Esattamente. Ho visitato per la prima volta Venezia all’inizio degli anni ’80, ma non è stato quello il momento in cui ho iniziato a fotografare. Piuttosto, in quel periodo ha cominciato a prendere forma un’idea che ha trovato concretezza più tardi. Osservando i luoghi, conoscendo persone, vivendo la città, ho progressivamente orientato il mio interesse non solo verso le chiese, ma anche verso i palazzi. Così è nata la serie dei Prunksäle (sale di rappresentanza), che ha avuto un seguito a Vienna, con un focus sugli interni asburgici.
Per quel che riguarda il progetto bergamasco invece, in quali condizioni hai lavorato?
Quando mi è stata fatta la proposta e ho visitato le chiese bergamasche ho immediatamente compreso la complessità dell’impresa. Per me è stato chiaro che non si trattava solo di fotografare i singoli dipinti, ma era importante restituire l’atmosfera di quei luoghi.
Mentre lavoravo, avevo in mente le fotografie realizzate in contesti analoghi, come le chiese e i palazzi veneziani, e questo mi ha aiutato a trovare la strada per costruire le immagini dedicate a Lotto.
È importante sottolineare che, se non si tratta di un’istantanea, ogni mio scatto è preceduto da una lunga riflessione che si conclude quando la composizione dell’immagine è ben chiara e definita nella mia testa. In questa fase scelgo cosa includere e cosa escludere dall’inquadratura, e talvolta, ad esempio con i paesaggi, attendo che arrivi la nebbia che, nascondendo alcuni dettagli o porzioni, stimola l’immaginazione. Naturalmente, nelle chiese non c’è la nebbia, ma questo è il tipo di approccio che ho adottato.
Il mio obiettivo era restituire il dialogo tra l’opera, l’ambiente e la spiritualità dei luoghi. Allo stesso tempo, volevo cogliere l’enigma che per me rappresentano Lotto e la sua arte.
L’ho trovato un uomo estremamente complesso.
Qual è stata la tua impressione accostandoti alle opere?
Quello che ho percepito è che effettivamente si nota subito qualcosa di diverso.
Durante il mio soggiorno a Venezia, ho avuto spesso l’opportunità di visitare le Gallerie dell’Accademia e farmi un’idea della scena artistica dell’epoca che era dominata da pittori più influenti di lui, vere e proprie superstar. Capisco quindi perché a Bergamo Lotto sembrò aver trovato il suo posto: la città apprezzava il suo lavoro e gli offriva commissioni, come le numerose pale d’altare realizzate in città e nei dintorni. Un esempio significativo è l’Oratorio Suardi, con le scene di Sant’Orsola e Santa Brigida che testimoniano tutta la sua originalità. Penso, ad esempio, alla rappresentazione di Gesù con le dita che si estendono come fossero i tralci di una vite, un’idea quasi surreale.
Hai studiato e approfondito la conoscenza dell’artista prima di iniziare il lavoro?
Quando ho lavorato su Lotto non ho visitato luoghi come Ancona o Loreto, non sono uno storico dell’arte e non mi occupo di ricerca in quel senso. Mi sono invece concentrato sull’atmosfera che si respirava nelle chiese e su come i dipinti apparivano in quegli spazi.

Lotto, come altri artisti del suo tempo, sapeva che i suoi dipinti sarebbero stati illuminati dalla luce delle candele. Per questo usava colori brillanti, consapevole che con il tempo e la patina avrebbero perso parte della loro intensità. Oggi, però, i restauri spesso cancellano questo effetto, facendo apparire i dipinti più luminosi di quanto fossero originariamente. Il mio obiettivo era invece catturare l’atmosfera autentica delle chiese.
Come l’hai perseguito?
Ho scelto di lavorare con luce naturale. Avrei potuto usare altre fonti, ma non era quello che volevo. Volevo vedere come l’atmosfera cambiasse con le diverse fasi della giornata per capire quale fosse il momento migliore per fotografare. La luce naturale doveva illuminare lo spazio, ma senza essere troppo forte.
E per quanto riguarda la tecnica? Hai lavorato con il digitale o con le tecniche tradizionali?
Ho utilizzato entrambe. Sono arrivato a Bergamo con una macchina a lastre, che significa scattare su negativo da 13×18 cm. Ciò mi permette di costruire l’immagine con maggiore controllo e consapevolezza. Vedere un’immagine capovolta può sembrare controintuitivo, ma con l’allenamento diventa naturale e in questo caso il formato aiuta. Oltre a questa macchina, ne ho portata una digitale ad alta risoluzione che sovrappone 16 scatti, cosa che mi consente di ottenere il massimo dettaglio.
Credi che il processo o il risultato sarebbero stati diversi se le opere fossero state di un altro pittore?
È una domanda interessante, ma non semplice. Ho letto la biografia di Lotto solo dopo aver concluso il mio lavoro e ho scoperto che, soprattutto negli affreschi dell’Oratorio, emerge la sua capacità di innovare rispetto ai canoni della sua epoca. Allo stesso tempo, però, doveva adattarsi alle richieste della committenza ecclesiastica, che imponeva soggetti religiosi tradizionali. Tuttavia, l’iconografia non è corretta al 100% e questo lo rende interessante.
Se i dipinti fossero stati realizzati da un altro pittore, come Tiziano o Raffaello, sarebbero stati perfetti ed eleganti, non ci sarebbe stato nessun elemento “disturbante”. Lotto, invece, è imperfetto, complesso e tragico, e proprio per questo oggi lo troviamo così affascinante, anche se ai suoi tempi non ha raggiunto il massimo riconoscimento.
Ragionando con te sull’allestimento è emerso che la modalità di percezione dei tuoi scatti nell’esposizione per te è centrale
Sì, ho pensato a una sorta di percorso, che inizia con un registro più cupo con poca illuminazione, proprio come nelle chiese, con pareti di colore scuro e un numero limitato di opere. Progressivamente, i colori diventano più chiari fino alla sala finale, dove ho scelto di esporre immagini di grande formato. Credo sia importante alternare fotografie di diverse dimensioni in base allo spazio in cui sono esposte e al colore delle pareti. L’obiettivo è far immergere i visitatori in un’atmosfera inaspettata.

In San Bartolomeo, non è stato tanto il dipinto a colpirmi, quanto la sua relazione con lo spazio circostante. L’illuminazione gioca un ruolo fondamentale: la luce che entra dalle finestre si riflette sulla superficie del dipinto, a volte facendolo quasi scomparire. Ho trascorso tre giorni in quel luogo. Avevo capito che solo in un dato momento si sarebbero create le condizioni giuste. In fotografia, è la luce a generare l’atmosfera. Se è quella giusta – come la nebbia tra le montagne – trasforma completamente un’immagine. Anche nelle chiese molto dipende dalla luce, da come l’illuminazione interagisce con le opere d’arte, con l’architettura, con lo spazio.
Pensa, per esempio, alla Chiesa di Santo Spirito qui a Bergamo o ad altre Tonnengewölbe (volte a botte): alcune parti restano immerse nell’oscurità, altre sono illuminate, creando contrasti suggestivi. E poi ci sono le file di panche, dove le persone si siedono, si raccolgono nei loro pensieri, proprio come facevo io a Venezia… In definitiva, ciò che mi interessa di più è lo stato d’animo che un luogo sacro può suscitare. Anche chi non ha alcun legame con la religione percepisce qualcosa, una sensazione di quiete che contrasta con il caos del mondo esterno. Ed è forse per questo che le persone amano visitare le chiese.