Gli occhi di Laura Mars, diretto da Irvin Kershner è la storia di una ricca e famosa fotografa di moda, interpretata da Faye Dunaway che possiede poteri paranormali: vede in anticipo le modelle del suo libro fotografico morire assassinate. L’attrice per interpretare la parte frequentò Terry O’ Neill, uno dei fotografi inglesi della Swinging London, che in seguito diventerà suo marito.
Gli occhi di Laura Mars: le fotografie dei servizi fotografici ispirate all’immaginario di Helmut Newton
Gli occhi di Laura Mars è un tipico thriller paranormale, genere molto seguito negli anni Settanta, che darà il via a una serie di film gialli ambientati nel mondo della moda e che arriverà più avanti a comprendere film come Sotto il vestito niente (1985) dei fratelli Vanzina o, più recentemente, Femme fatale (2002) di Brian De Palma. Partito come B-movie, Gli occhi di Laura Mars diventerà nel giro di breve un cult. Il film è girato nella New York degli anni Settanta, il periodo in cui la città è così degradata da dichiarare bancarotta e diventare nel mondo l’esempio della città violenta e senza futuro: è del 1977 il blackout che lasciò New York per vari giorni in balia di rivolte e saccheggi. La fotografa Laura Mars, che ha il suo studio in uno dei moli chiusi lungo l’Hudson, crea con le sue modelle scene di violenza, morte e omicidio come quella in cui donne in giarrettiera e pelliccia si tirano i capelli davanti ad auto incidentate che bruciano. Poichè le sue immagini fanno vendere bene, Laura si troverà a lavorare con grande successo anche in pubblicità. Con ventilatori e musica a tutto volume la sua carriera avanza fra un servizio fotografico e l’altro fino a quando le cose cominciano a complicarsi perché Laura ha delle visioni: vede gli omicidi delle sue modelle prima che avvengano. Li vede in soggettiva, come se guardasse dentro la sua macchina fotografica. L’assassino, inoltre, ricrea sui luoghi del delitto le immagini del suo libro fotografico. La brutalità che le ha dato gloria e denaro le si rivolta contro e la polizia sospetta che proprio lei, Laura Mars, sia la colpevole. Il killer, a cui ormai manca solo l’omicidio di Laura per completare l’opera, si rivela alla fine essere un poliziotto maltrattato dalla madre e di cui la fotografa si è innamorata. In qualità di special photographic consultant per il film, venne chiamata la fotografa belga Rebecca Blake che emigra giovanissima negli Stati Uniti e che, dopo un inizio come fotografa di still life, negli anni Settanta diviene una famosa fotografa di belle donne e di campagne pubblicitarie di prodotti di bellezza: sue, sono le fotografie del libro fotografico Gli occhi di Laura Mars che dà il titolo al film. Le fotografie dei servizi fotografici di Laura sono invece chiaramente ispirate all’immaginario di Helmut Newton che già in quegli anni fotografava per le più importanti riviste di moda. Nel film, non a caso, c’è una scena in cui si inaugura una mostra e le fotografie esposte in una galleria di Soho sono appunto di Helmut Newton. Gli occhi di Laura Mars è un film che si colloca all’interno della contraddizione del decennio che vede, da un lato, le donne che vogliono avere il pieno potere sul loro corpo mentre, dall’altro, c’è l’immagine della moda e delle merci che usano sempre di più il corpo delle donne. Qualcuno ha sempre visto Helmut Newton, con il suo erotismo patinato, il fotografo antifemminista per definizione, ignorando il suo lato provocatorio e ironico. Chi invece tolse centralità alla figura della modella, in netta controtendenza con l’ambiente della moda, fu il francese Guy Bourdin, nato nel 1928 a Parigi e morto nel 1992. Allievo di Man Ray, Bourdin negli anni Sessanta impose un cambio di registro alle fotografie di moda che assunsero con lui un tono surreale: le modelle furono collocate, per esempio, in macelleria, tra animali squartati oppure come corpi abbandonati sulla spiaggia. Le sue immagini più conosciute sono quelle riferite alle campagne pubblicitarie di Charles Jourdan realizzate tra il 1967 e il 1981: immagini che mettono in evidenza le scarpe ai piedi di donne che si fingono morte. Il suo era un linguaggio disturbante, difficile da comprendere per il pubblico della moda, ma ammirato da fotografi come Helmut Newton, Jean Mondino e David LaChapelle. Guy Bourdin rifiutò sempre di pubblicare libri e organizzare mostre di sue fotografie