Josef Koudelka
«Volevo parlare della vita, cosa c’è di più universale? Non volevo fare un documento storico, ma parlare dell’esistenza dall’infanzia alla morte. Ho preso dalla vita delle comunità gitane degli anni Sessanta di Boemia, Moravia, Slovacchia, Romania e Ungheria, quello che era più importante per me» Josef Koudelka
I l menabò di Cikàni (zingari in ceco), curato dalla storica della fotografia Anna Farova e impaginato dal grafico Milan Kopriva, era pronto per la stampa quando l’invasione russa sconvolse la situazione economica e politica della Cecoslovacchia, bloccandone la pubblicazione. Dieci foto di Cikàni furono comunque esposte a Bergamo nell’ottobre 1968 per Fotografia Europea con una foto in copertina del catalogo. Koudelka ottenne asilo politico in Inghilterra nel 1970, dopo aver documentato la violenta repressione delle manifestazioni di protesta dell’agosto del 1968. Le sue fotografie furono pubblicate in Occidente come opera di un anonimo fotografo praghese per sfuggire alla probabile ritorsione del nuovo potere. Esiliato e apolide, accolto come membro dalla Magnum, pubblicò nel 1975 Gitans. La fin du voyage , con la cura e l’impaginazione semplice e rigorosa di Robert Delpire. John Szarkowski curò la pubblicazione americana e una speciale edizione per la mostra di Gypsies al MOMA. L’incontro con il mondo zingaro, lontano dagli stereotipi che Koudelka ricordava – «Quando passavano gli zingari, nel mio villaggio natale di Valchov in Moravia, il banditore invitava, col tamburo, tutti a chiudersi in casa e a nascondere le galline» –, era iniziato nel 1962 ai festival di musica folk che frequentava come appassionato suonatore di cornamusa e violino. Colpito dalla forza e dall’originalità della loro musica, continuò a fotografarli fino al 1970, vivendo con loro e immergendosi nei riti di vita e di morte irriducibili ai tentativi di assimilazione e integrazione tentati dai regimi socialisti e descritti in Gitans dal sociologo inglese Will Guy. Koudelka non voleva fare un reportage, forte della sua esperienza di fotografo teatrale, voleva invece rappresentare con la sua Exacta e il grandangolare Flektogon 25mm, l’affresco di una condizione umana apparentemente misteriosa e sfuggente, mettendo in scena i comportamenti e i rituali, costruendo insieme a loro, in un contatto fisico, intimo ed empatico, emozionanti raffigurazioni di dolente e dignitosa intensità. Immagini di stralunata bellezza espressionista e di eccezionale impatto visivo, per la tensione drammatica, che attrae e affascina per l’espressività dei visi e dei corpi. Per J. C. Lemagny sono fotografie «vibranti di emozione e di pietà, che riflettono il senso tragico della vita» e per J. Szarkowski esse rappresentano «l’equivalente silenzioso di un dramma epico». Ma quello che traspare, e che Koudelka continuerà a documentare in Exils (1987), è il senso di disperata vitalità che, forse, si acquieta nella festa-rito della Camargue di Saintes Maries de la Mer: approdo religioso, mistico e liberatorio di tutte le popolazioni zingare d’Europa, riunite ogni anno a maggio attorno alla nera protettrice Santa Sara.
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Josef Koudelka (1938). Gitans. La fin du voyage. Introduzione di Robert Delpire. Testo di Will Guy. Delpire. Paris. 1975. Gypsies Aperture. New York. 1975. Introduzione di John Szarkowsky e Anna Farova. Testo di Will Guy. Legatura rigida con sovraccoperta illustrata. 270x295mm.136 pag. 60 fotografie in nero