21 Novembre 2016 di Redazione Redazione

di Michela Frontino


Sensibile alle suggestioni di analogie visive e concettuali, l’autrice fa dell’ambiguità del linguaggio fotografico il centro della sua ricerca. Nella sua ispirazione l’autoritratto, la messa in scena, la contaminazione dei generi e delle fonti iconografiche (dai testi d’archivio alle fotografie private) producono nuovi stimoli visivi, mettendo a dura prova l’identità dei soggetti rappresentati. Ecco allora che, nelle serie di questa giovane artista, la diretta corrispondenza tra forma e contenuto lascia il passo al visionario che, con sottile ironia, incoraggia il dubbio sul significato della fotografia. I temi su cui basa la sua ricerca spaziano dalla memoria all’infanzia, dall’immagine come “gabbia sociale” alla vita di coppia, dalla scienza all’iconografia storica.


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Good Breeding, 2009


In ogni serie fotografica che realizzi la tua presenza fisica è una costante stilistica e di contenuto. Come hai maturato la scelta di divenire soggetto delle tue immagini?
«Innanzitutto ti ringrazio per aver usato l’aggettivo fisico, mi piace molto, perché oltre a fare
riferimento al corpo umano, mi fa venire in mente la fisica come scienza dei fenomeni naturali.
Direi che utilizzo la mia presenza come vera e propria materia. Non si tratta di autoritratti tout-court. Mi vedo piuttosto come oggetto della ricerca in cui la mia figura svolge un ruolo funzionale».


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The Modern Spirit is Vivisective ha vinto il primo premio del ViennaPhotoBookAward 2016 ed è stato pubblicato nel mese di ottobre dalla casa editrice Anzenberger.


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The Modern Spirit is Vivisective, The Audience, 2014



In Good Breeding sviluppi il tema della memoria attraverso la messa in scena e gli interventi grafici sulle immagini. Come interagiscono tra loro questi strumenti espressivi?
«Operando con la fotografia è piuttosto naturale affrontare questioni legate alla memoria. Ma quello che mi interessava particolarmente in Good Breeding era sottolineare come la fotografia potesse attraversare diverse temporalità, in quanto il soggetto rappresentato, pur calato in situazioni che richiamano l’infanzia, è palesemente adulto. Mi piace molto lavorare mettendo in dialogo diversi linguaggi e strumenti espressivi. Per esempio, ho deciso di sviluppare il progetto creando una sorta di album di figurine, le cui immagini hanno una parte mancante, di forma circolare, posizionata sempre al centro. In questo modo ho realizzato una sorta di esercizio sul guardare in cui lo spettatore è libero di riportare l’immagine al suo completo, attaccando il pezzo mancante, di optare per la versione non completa o di sperimentare nuove combinazioni di pezzi in maniera casuale».


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In Happy Together, metti in scena te stessa nel racconto ironico e grottesco della vita di coppia. Potresti spiegare l’evoluzione di questo progetto?
«Il progetto è nato nel 2010. È stato allora che mi sono interessata alle dinamiche della coppia e agli stereotipi legati alla sua rappresentazione. Avevo già iniziato ad approfondire il genere del ritratto corale con Happiness, un lavoro sulla famiglia in cui ho indagato il rapporto tra il soggetto e la macchina fotografica, e tra i soggetti stessi di fronte alla camera. Reduce da quella esperienza, l’idea di utilizzare me stessa e il mio compagno come soggetti per Happy Together è venuta in maniera spontanea. Nei miei lavori, non metto mai in posa. Generalmente cerco di ricreare nello spazio della rappresentazione una sorta di sintonia delle pose, in cui ciascun soggetto osserva l’altro e cerca di inserirsi in maniera armonica, sentendo la responsabilità di rappresentare se stesso, sia come individuo che come parte di un gruppo. Il risultato più interessante è una certa assonanza delle pose».


Happy Together è stato esposto alla London Art Fair nel gennaio del 2016


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The Modern Spirit is Vivisective, Monkey, 2014


The Modern Spirit is Vivisective è il tuo ultimo lavoro, come hai portato avanti la tua ricerca visiva?
«Questo lavoro riguarda la storia dello studio dell’anatomia a partire dal fenomeno delle dissezioni pubbliche che, dal Rinascimento fino al primo Illuminismo, si svolgevano pressoché annualmente presso le principali città universitarie italiane ed europee, all’interno di teatri anatomici, e coinvolgevano non solo studenti, professori e dignitari della città, ma anche un pubblico pagante. Prendendo spunto da questi temi, il progetto vuole essere una riflessione più ampia sui metodi di conoscenza e su come quest’ultima, soprattutto per noi occidentali, debba spesso passare attraverso la vista. Infine, volevo indagare il rapporto tra ciò che è visibile e ciò che comunemente è precluso agli occhi.
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Cresciuta in una famiglia con un forte background scientifico, Francesca Catastini ha sviluppato un precoce interesse per l’etologia e la medicina, parallelamente alla passione per l’immagine. Il suo lavoro d’artista si caratterizza per la commistione di diversi materiali fotografici. La sua ricerca artistica ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti e il suo lavoro è stato esposto in numerose mostre sia in Italia che all’estero, tra cui ViennaPhotoBookAward 2016, Feminine Masculine a cura di Federica Chiocchetti (London Art Fair, 2016), Photobookshow, The Finnish Museum of Photography (Helsinki, 2012), Domestic, Espacio Cultural Caja Madrid (Barcellona, 2010). La sua prima personale, Good Breeding, a cura di Claudio Composti e Denis Curti, è stata inaugurata a Milano nel 2011 presso la MC2 Gallery. Vive e lavora in Toscana.

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