23 Maggio 2019 di Vanessa Avatar

Fin dalla copertina sguardi e occhi interrogano e poi mani e corpi, particolari che svelano un’umanità piegata e contorta nella sofferenza e nel dolore in un reportage emozionante e commovente. Negli anni Settanta la sensibilità civile di una generazione di fotografi  indagò l’istituzione violenta e repressiva del manicomio come esempio di una società di classe che emarginava brutalmente i più deboli e i più fragili. La fotografia fu uno strumento di grande efficacia nella denuncia di una situazione disumana e intollerabile fino ad allora nascosta e rimossa. La pubblicazione di fotolibri come Gli esclusi, Morire di classe di Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati, Tu interni e io libero di Gian Butturini e i servizi di Ferdinando Scianna per L’Europeo volti a descrivere il rapporto tra fotografi a e follia e raccolti ne Il volto della Follia . Cent’anni di immagini del dolore (Skira 2005) rappresenta la consapevolezza dell’importanza della fotografia come testimone delle contraddizioni non più tollerabili nella società italiana. Il dibattito civile e politico sulla malattia mentale, sollecitato dalla denuncia fotografica, portò all’approvazione della legge 180 che modificò per sempre la situazione manicomiale. La lezione di Basaglia nel manicomio aperto di Gorizia permise di comprendere che la follia è una condizione umana: «In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia». Sergio Piro introdusse nel manicomio Materdomini di Nocera le pratiche dell’antipsichiatria, costituendo una comunità terapeutica come quella di Gorizia e invitò D’Alessandro a documentarne l’esperienza, prima che lo scontro con le istituzioni sanitarie lo costringesse alle dimissioni nel 1969. D’Alessandro era rimasto dapprima tre giorni immobile nel cortile del Materdomini, impregnandosi dell’orrore e dell’odore insopportabile del manicomio e vi ritornò, almeno una volta ogni settimana, tra il 1965 e il 1967. Il reportage venne pubblicato su Popular Photography Italiana  nel 1967 con il titolo Il mondo degli esclusi  ed esposto alla galleria Il Diaframma prima di diventare un fotolibro su coraggiosa iniziativa di Lanfranco Colombo. Michele Gandin ne trasse, infine, un documentario per Nexus Film, commentato dai testi di Piro e dalla voce narrante di Riccardo Cucciolla. Piro, esponente di Psichiatria Democratica, riconobbe nelle fotografi e di D’Alessandro, oltre alla denuncia di una situazione insostenibile, lo svelamento della cattiva coscienza dello psichiatra, paternalistico strumento del potere e della violenza istituzionale, perché la medicalizzazione della pazzia, anche attraverso la camicia di forza farmacologica perpetuava il meccanismo di esclusione e emarginazione dei più deboli e fragili che nasce nella famiglia e nella società per prolungarsi nella segregazione del manicomio, istituzione totale da aprire finalmente al mondo.

Gli esclusi  è uno straordinario esempio di fotografia umanista, lontano da ogni estetizzazione della fotografi a del dolore e di stereotipo sulla follia. La sua qualità estetica, grafica e tipografica ne fanno un fotolibro molto ricercato che ha valutazioni tra i 600 e gli 800 euro.

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