A Roma una mostra riunisce le immagini di pace di Julia Krahn e delle donne ucraine; leggi l’intervista alla fotografa tedesca.

27 Febbraio 2023 di Elisabetta Agrati Elisabetta Agrati

Sono immagini di pace, di speranza, quelle che Julia Krahn oppone all’orrore della guerra. Ritratti di donne ucraine, rappresentate come icone laiche, che si fanno portavoce di un messaggio di resistenza e dignità a un anno dall’inizio dell’invasione russa.

Sono le Bandiere di pace, ultimo progetto fotografico dell’artista tedesca, esposte presso il Chiostro del Complesso di Vicolo Valdina a Roma fino a mercoledì 8 marzo 2023, in occasione della Giornata Internazionale della Donna e dell’iniziativa Montecitorio a porte aperte.

immagini di pace, ritratti di Julia Krahn
Kira / FUTURO, Julia Krahn 2022. Al primo incontro con Kira ho portato dei palloncini a elio. Volevo che sembrasse tutto più leggero di quello che era. La leggerezza è fragile. Kira, volge lo sguardo altrove, distratta dal gioco della sua infanzia, infatti, è l’unica a non guardare in camera. I fiori di girasoli, in cerca di luce, sono un simbolo dell’Ucraina. Kira è partita con sua madre Olena per il Canada.

A Montecitorio le immagini di pace di Julia Krahn

Fin dall’inizio del conflitto Julia Krahn ha cominciato a invitare donne ucraine rifugiate in studio per raccontarsi attraverso immagini e interviste e per cercare insieme risposte al desiderio condiviso di pace. In mostra sono raccolte sei bandiere recanti i ritratti di donne ucraine, lungo tre generazioni.

C’è Kira, che ha solo sei anni e volge lo sguardo altrove, distratta dal gioco della sua infanzia: lei è l’unica delle donne a non guardare in camera. Karina ha dodici anni e ama creare draghi di carta nel suo tempo libero. Per il suo ritratto l’artista si è ispirata alla Madonna dell’Apocalisse per rappresentare il grande sogno dell’Ucraina di far parte dell’Europa.

Ancora, Aleksandra, arrivata proprio l’8 marzo 2022 in Italia, rappresentata con una corona di mimose sul capo. Marina, che porta sua figlia Diana di appena quattro mesi tra le braccia. E poi c’è Olga, una donna che ha vissuto molti conflitti politici e personali. Nel suo ritratto poggia i piedi sopra la Bibbia, il Corano, il Sanscrito e l’opera di Hermann Hesse per interpretare l’Oranta di Kiev, il famoso mosaico della cattedrale di Santa Sofia a Kiev. Si dice che il mondo continuerà finché l’Oranta resterà in piedi.

immagini di pace, ritratti di Julia Krahn
Olga / ORANTA DI KIEV, Julia Krahn 2022. Ho cercato a lungo Olga, una donna che ha vissuto molti conflitti politici e personali, una donna segnata della vita. Nel suo ritratto poggia i suoi piedi sopra alla Bibbia, al Corano, al Sanscrito e Hermann Hesse perché lei interpreta l’Oranta di Kiev, il famoso mosaico della cattedrale di Santa Sofia. Si dice che il mondo continui finché l’Oranta resterà in piedi. Lei prega o forse si arrende? Lei o la Chiesa? Ai suoi polsi Olga, come l’Oranta di Kiev, porta due croci di Malta, simbolo delle Forze armate dell’Ucraina, mentre sul drappo bianco è ricamata la parola MYR – PACE. Olga ha trovato lavoro per aiutare la sua famiglia. Poco dopo però è tornata in Ucraina.

Infine, un autoritratto dell’artista, immortalata mentre stringe in mano la sua arma pacifica contro la guerra, la macchina fotografica, invitando anche le altre donne, non solo quelle ritratte, a fare altrettanto. A opporsi con armi di pace, immagini di pace, all’orrore di ogni guerra.

L’intervista a Julia Krahn

L’autoritratto è una delle modalità espressive predilette dall’artista tedesca come emerge in questa intervista di Giovanni Pelloso, pubblicata su IL FOTOGRAFO 332, di cui vi riproponiamo un estratto.

GP: Scorrendo la tua biografia si scopre che sei in Italia da oltre vent’anni. Qui, nel Belpaese, inizia il tuo percorso artistico. Tutto nasce con i primi autoscatti. Una tecnica che negli anni è sempre rimasta uno dei tuoi eletti strumenti di riflessione e di conoscenza di sé.

JK: «Si può considerare un fil rouge che abbraccia tutto il mio lavoro che porto avanti anche oggi. Ho iniziato con l’autoscatto anche se in verità non avevo la consapevolezza di divenire un’artista o una fotografa. È l’arte che è entrata in me dandomi in cambio molta serenità. Ho da sempre sentito il bisogno di introspezione e da persona molto fisica e molto pratica come sono volevo trovare un modo per vedere e per toccare i miei pensieri. Volevo riuscire a guardarmi e a mettere in immagine le mie storie».

«Fra i primi scatti realizzati nel 2001 ci sono delle diapositive proiettate sul mio corpo che mandavo al mio grande amore come forma di comunicazione. Lui mi diceva che il mio pensiero attraverso la fotografia era talmente chiaro che nessuna parola riusciva ad avvicinarsi. Ed è stato lui a presentarmi alla mia prima galleria. È stato lui a incoraggiare le mie idee. A mettere dell’ossigeno dove c’era una piccola scintilla».

GP: L’autoscatto, da un modo per scoprirsi e per vedersi, è poi progredito verso una memoria di relazione. L’autoscatto fissa una storia.

JK: «Sì, sono partita con il bisogno di vedermi e anche di capirmi per poi avvertire il bisogno di comunicare con il mondo. Da quando ho lavorato con le persone malate e dopo con quelle che io chiamo le Maddalene, ho applicato il mio modo di guardare a me stessa anche alle altre persone ed è diventata una pratica per aiutarle a guardarsi, non solo attraverso l’immagine stessa, ma anche attraverso il processo spesso lento che mi prendo – uso ancora con il banco ottico –, dando loro la possibilità di ambientarsi, di raccontarsi, di lasciarsi guardare».

GP: È una messa a nudo che si lascia conquistare da questo spazio di calma, di serenità, e lì si trova un luogo dove poter stare a proprio agio e togliersi le maschere.

JK: «Esatto. Il mettersi a nudo non è facile. A volte può anche essere doloroso. C’è bisogno di fiducia. Solo quando ti togli le cose di dosso sei pronto sia a guardarti che a essere guardato. Questo percorso è iniziatico. Significa voltare pagina. Credo molto nel vuoto e trovo un grande dono quando lo si riesce ad accogliere».

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