Oggi, l’Ambassador EIZO Marco Olivotto ci spiega in che cosa consiste il flusso di lavoro, o workflow in inglese, che ha ribattezzato ASIA.
Il flusso di lavoro non è un elenco di procedure
La definizione di workflow secondo Wikipedia è la seguente: «Un flusso di lavoro consiste in uno schema orchestrato e ripetibile di attività produttive, consentito dall’organizzazione sistematica delle risorse in processi che trasformano materiali, provvedono servizi o elaborano informazioni». Si tratta di una definizione molto ampia e, proprio per questo, vaga. È facile cadere nel tranello e pensare: “Abbiamo dei materiali, li elaboriamo secondo determinate regole, quindi otterremo un certo risultato”. Un flusso di lavoro, in realtà, è uno schema molto più astratto, in particolare nell’ambito dell’imaging. Non ha nulla a che fare con le cosiddette “pillole” che spesso vengono propinate come soluzioni universali ai problemi delle immagini. In altri termini, un flusso di lavoro ci può guidare verso un risultato, ma non definisce in maniera specifica tutti i passi necessari per arrivarci. Anzi, alcune operazioni possono essere opzionali e vengono talvolta saltate. Anche nel caso in cui i passi vengano compiuti tutti, non sono necessariamente riconducibili a tecniche specifiche.
Facciamo un esempio: l’istruzione “Sviluppare l’immagine RAW con un software a scelta e trasformarla in una versione raster” può fare parte di un flusso di lavoro. “Sviluppare l’immagine RAW in Camera Raw con i seguenti parametri: (segue lista di parametri di sviluppo); salvarla poi come immagine raster” fa invece parte di una ricetta molto specifica. Che è fantastica, sulla carta, perché ci dice per filo e per segno cosa dobbiamo fare, ma ha un problema: non può funzionare su tutte le immagini. La gioia e il dolore della fotografia si riassumono in un’affermazione così banale che spesso la diamo per scontata: le fotografie non sono tutte uguali! Un ritratto ha esigenze diverse rispetto alla riproduzione di un paesaggio, e quello stesso paesaggio non sarà trattato allo stesso modo a seconda che sia stato fotografato in pieno sole o all’imbrunire. Con queste premesse, sembra peraltro impossibile stabilire regole generali che ci permettano di portare a termine una buona post-produzione nella stragrande maggioranza dei casi.
Il significato dei numeri
In RGB, ciascun colore è rappresentato da una terna di numeri. Ciascun numero rappresenta, come sappiamo, l’intensità di illuminanti che sono rispettivamente rosso, verde e blu. In una rappresentazione a 8 bit, ogni numero è un intero compreso tra 0 e 255, per un totale di 256 valori complessivi. Quanto più un numero è elevato, tanto più forte è l’intensità dell’illuminante a cui si riferisce. Quando scriviamo, per esempio, (255R 0G 0B), indichiamo il massimo rosso possibile in un determinato contesto. Il contesto è fondamentale: abbiamo tutti sperimentato, per esempio, il fatto che due monitor diversi rappresenteranno colori diversi. Il “massimo rosso” del monitor A non sarà necessariamente uguale a quello del monitor B.
Resta il fatto che nella fotografia di figura 1, se misuriamo un punto subito sopra il sopracciglio della ragazza (si può fare con lo strumento Contagocce e il pannello Info in Photoshop) otteniamo una lettura pari a (199R 169G 151B); se misuriamo la parte bassa dell’iride otteniamo (83R 83G 104B): a due terne diverse corrispondono colori diversi. Non è difficile comprendere che la predominanza del blu nella seconda terna è quella che dà agli occhi del soggetto il loro colore. Di per sé, queste due terne però non dicono abbastanza, perché manca un’informazione fondamentale: l’immagine è codificata nello spazio colore sRGB. Se avessimo utilizzato Adobe RGB, ProPhoto RGB o qualsiasi altra variante di RGB, il colore avrebbe avuto lo stesso aspetto, ma sarebbe stato espresso da numeri diversi.
L’utilità dei numeri
Il punto è molto semplice: nel momento in cui comunichiamo a qualcuno “sRGB, 199R 169G 151B”, stiamo fornendo un’informazione precisa e univoca su un colore. I numeri non sbagliano: chiunque sarà in grado di ricostruire lo stesso colore che stiamo leggendo, se rispetta le nostre istruzioni. Rimane il problema non secondario che quel dato colore apparirà comunque diverso su dispositivi calibrati diversamente, ma il mondo non è perfetto. Avere un riferimento numerico è comunque meglio che andare a occhio. Qualcuno potrebbe chiedere: «Ma il colore dell’incarnato fornito è giusto?». Ammettiamo di non sapere rispondere con precisione, basandoci solo sui numeri RGB. Se però li traduciamo in Lab, il metodo colore che abbiamo introdotto nelle scorse lezioni, scopriamo che la terna risultante è (71L 9a 14b). Piccolo ripasso: “L” indica la chiarezza del colore e ha un valore compreso tra 0 e 100. Un valore come 71 si trova a circa a 3/4 di scala e suggerisce che stiamo osservando un colore parecchio chiaro. “a” indica la tendenza di un colore verso il verde (valori negativi) o verso il magenta (valori positivi), ed è compreso tra -128 e 127. “b” indica invece la tendenza di un colore verso il blu (valori negativi) o verso il giallo (valori positivi) ed è di nuovo compreso tra -128 e 127. Una terna come (71L 9a 14b) si traduce istantaneamente in questo pensiero: “È un colore chiaro, con una debole tendenza al magenta e una tendenza al giallo più marcata”. In termini matematici, scriveremmo che b > a.
Il colore dell’incarnato
La relazione appena enunciata è tipica degli incarnati. La carnagione umana, indipendentemente dalle sue peculiarità, è caratterizzata da una maggiore tendenza al giallo che al magenta, salvo alcuni rari casi. Per fare un esempio, il labbro inferiore è caratterizzato da valori dell’ordine di (61L 28a 10b): in questo caso, il colore è più magenta che giallo (perché a > b) e infatti le labbra appaiono rosa (e un po’ più scure dell’incarnato: L è inferiore). La predominanza netta di a su b di norma non si verifica nell’incarnato, se non in casi specifici: alcune carnagioni nordiche possono avere a > b, e anche alcune aree che tendono ad apparire più “rosse”, come la punta delle guance o del naso. In ogni caso, il rapporto tra a e b non sarà mai elevato come nel caso delle labbra, in cui a vale praticamente il triplo di b. La punta del naso della ragazza ha un valore pari a circa (71L 18a 14b): stessa chiarezza della pelle sulla fronte ma tendenza al magenta decisamente più elevata. In termini colloquiali, la pelle sul naso è più rosea che sulla fronte.
La variazione cromatica tra un’area e l’altra del volto è cruciale. La figura 2 mostra come apparirebbe la ragazza se tutta la sua pelle avesse lo stesso colore riscontrato sulla fronte. La versione rispetta la chiarezza del viso di figura 1, ma la tinta e la saturazione sono identiche in ogni punto della pelle: il risultato è palesemente innaturale e tende ad appiattire il volume del volto, che appare troppo uniforme. Naturalmente, è impossibile a priori dire che il colore dell’incarnato della ragazza sia del tutto corretto: ma è perlomeno compatibile con il reale, perché la regola enunciata poco fa è universale. Si tratta di un cosiddetto “colore noto”: esaminando migliaia d’immagini si è appurato che quella regola, quando l’immagine è cromaticamente bilanciata, vale pressoché sempre. Se questo sorprende, conviene fare un ragionamento: non abbiamo mai visto una pelle naturalmente tendente al blu o al viola. Ricordando che i numeri negativi in Lab si indicano per mezzo di parentesi, ossia (14) significa -14, se avessimo riscontrato un valore come (71L 9a (14)b) non avremmo avuto problemi nell’affermare che si tratta di un incarnato innaturale. A parte il valore della chiarezza, abbiamo una componente magenta (a positivo) e una componente blu (b negativo): questo definisce un colore tendente al viola.
La figura 3 mostra i due campioni di colore citati. Quello a sinistra (71L 9a 14b) è compatibile con un colore naturale di incarnato, quello a destra (71L 9a (14)b) palesemente no.
Il significato di ASIA: quattro parole per un workflow impeccabile
Il titolo di questo articolo contiene una sigla da me coniata, ASIA. Le quattro lettere sono le iniziali di quattro parole: “Analisi”, “Strategia”, “Intervento”, “Apprezzamento”. Funziona anche in inglese: “Analysis”, “Strategy”, “Intervention”, “Assessment”. ASIA è un flusso di lavoro generale, basato su quanto appena affermato: alcuni colori, se puntiamo a una riproduzione compatibile con ciò che vedremmo nella realtà, sono attendibili, altri no. Per “colori” intendiamo di fatto “numeri”. La regola dell’incarnato (L può avere quasi qualsiasi valore, a seconda della chiarezza della pelle; a dev’essere positivo; b dev’essere positivo; b è di norma maggiore di o al massimo uguale ad a) non è l’unica. Esistono regole analoghe per altri soggetti comuni: vegetazione, cielo, suolo e via dicendo.
A come ANALISI
Con poche formule sottomano possiamo effettuare una lettura numerica che ci informi se il colore che stiamo osservando è credibile o meno. Questo è il primo passo del flusso di lavoro: l’analisi. Si effettua in maniera semplice: in Photoshop, con lo strumento Contagocce e il pannello Info, impostato in modo da leggere i valori in RGB o in Lab, a seconda delle preferenze e dei casi; in Lightroom, o in Camera Raw, con l’opportuna finestra in cui appare anche l’istogramma; anche qui possiamo scegliere le coordinate numeriche che preferiamo. L’analisi ci consente non solo di individuare una dominante o comunque un’area di colore anomalo, ma anche di stimarne la deviazione da parametri ideali.
S come STRATEGIA
A questo punto, serve il secondo passo: la strategia. Valutare numericamente un errore non è sufficiente: dobbiamo individuare la regolazione ideale per eliminarlo. Su questo non ci sono a priori indicazioni vincolanti, anche perché regolazioni diverse talvolta agiscono in maniera simile. Di norma, però, la regolazione più versatile risulta essere Curve. È disponibile in RGB, così come in Lab e perfino in CMYK: talvolta ha senso lavorare direttamente in Lab, convertendo l’immagine in questo spazio colore e non limitandosi a utilizzarlo per la lettura numerica; è invece sempre meno diffusa la conversione in CMYK, che pure ha caratteristiche interessanti qualora l’immagine che elaboriamo sia destinata alla stampa offset. In ogni caso, la “S” di ASIA consiste nell’individuazione di un approccio che possa portare alla soluzione.
I come INTERVENTO
Stabilita una strategia, è necessario realizzare un intervento. Il paragone più ovvio è di tipo medico: formulata una diagnosi, si instaura una terapia. Nel nostro caso, la terapia consiste nell’intervenire direttamente sull’immagine, possibilmente con un minimo di perizia. L’“intervento”, quindi, consiste nella parte più operativa, che mette in atto la strategia delineata nel secondo punto. Questa potrà rivelarsi buona o meno, e in generale non sarà di certo l’unica possibile: avremo semplicemente fatto una scelta, che dipenderà dalla nostra esperienza e in parte anche dalle nostre inclinazioni a usare un procedimento piuttosto che un altro. In ogni caso, alla fine avremo un’immagine con un aspetto diverso da quello di partenza.
A come APPREZZAMENTO
Infine, l’ultima lettera: nuovamente una “A”. Sta per apprezzamento, un termine un po’ strano che cerca di staccarsi da “analisi”, per evitare confusioni con la prima lettera, anche se di fatto è la stessa operazione svolta con una finalità diversa. Si tratta di una ripetizione del primo passo, una verifica volta a controllare che i numeri siano rientrati nei parametri che ci aspettiamo. Se così non fosse, si riparte dal secondo: una nuova strategia, a cui seguirà un nuovo intervento, e via dicendo. Raggiunto un risultato soddisfacente, il flusso di lavoro si arresta all’ultimo passaggio e l’immagine si può considerare conclusa.
Ancora a proposito di Lab
Una cosa fondamentale da ricordare è che Lab, in Photoshop, esiste in un’unica variante, la stessa (per fortuna!) che viene usata pressoché universalmente. I numeri in Lab non sono soggetti alle note variabilità che s’incontrano scegliendo uno tra i tanti spazi colore RGB. Anche per questo è consigliabile imparare a leggere le coordinate colorimetriche in Lab.
La figura 1 non è l’immagine originale. La fotografia da cui sono partito è quella di figura 4, e il valore dell’incarnato sopra il sopracciglio ha coordinate (71L, 8a, 22b). Rispetta le regole? Formalmente sì: entrambi i valori di a e b sono positivi, e b supera a. Il problema è che b è troppo alto rispetto ad a: vale quasi il triplo. In altri termini, la pelle ha una componente gialla troppo elevata. L’esperienza insegna che situazioni come questa sono rare al punto da risultare impossibili: la regola corretta è “b dev’essere maggiore di a, ma non troppo”. Nell’indeterminazione di un’espressione come “non troppo” cade la libertà creativa: un incarnato si può e spesso si deve interpretare.
La figura 5 mostra una curva RGB che aumenta l’intensità della componente blu al fine di contrastare la tendenza della pelle al giallo. Il pannello Info mostra la lettura del campionatore colore visibile sopra il sopracciglio: (71L, 9a, 14b). L’immagine è identica a quella riprodotta in figura 1.
La figura 6 mostra invece una curva più accentuata, che porta il valore a (72L, 10a, 10b). È un valore lecito? Sì, perché abbiamo detto che a e b possono essere uguali. È migliore del precedente? Non possiamo dirlo, perché siamo nel campo della libera interpretazione e del gusto. Se la lettura fosse (72L, 11a, 10b) dovremmo preoccuparci? Forse: potremmo essere in presenza di una pelle realmente chiara e tendente al magenta, e piccole deviazioni come questa vanno valutate caso per caso. Pur senza vedere il risultato stampato, ci aspettiamo che la maggior parte delle persone preferisca la versione 5 alla 6, che a molti può apparire un po’ troppo fredda. Possiamo quindi affermare che entrambi i valori sono potenzialmente corretti, ma non che uno sia più corretto dell’altro. Ciò che manca in questo schema, naturalmente, è una lista ragionata dei colori noti, ossia degli intervalli in cui si considerano corrette le coordinate colorimetriche, ovviamente nel momento in cui si desidera che la fotografia divenga un’imitazione del reale. Nulla impedisce di virare al verde un ritratto, se la creatività ce lo suggerisce: ma è comunque importante sapere dove stiamo andando a parare, e soprattutto quanto intenso sarà lo spostamento cromatico che creeremo. ASIA è anche questo, un metodo per valutare il prima/dopo delle nostre post-produzioni.
Chi è Marco Olivotto
Classe 1965, si laurea in fisica, ma lavora per anni come tecnico del suono e produttore musicale. Appassionato di fotografia fin da bambino, si avvicina presto alle tecniche digitali. La svolta avviene nel 2007, quando scopre i libri di Dan Margulis, padre della correzione del colore in Photoshop. Inizia a trasportare le tecniche apprese nella realizzazione grafica delle sue produzioni, fino a che nel 2011 inizia a insegnare gli stessi argomenti dopo avere seguito due corsi di teoria del colore applicata (base e avanzato) con lo stesso Margulis. Pubblica oltre 50 ore di videocorsi sulla materia con Teacher-in-a-Box, scrive a lungo per riviste specializzate, insegna in corsi post-diploma e universitari. Diventa speaker ufficiale per FESPA in diverse fiere internazionali e tiene corsi e workshop in Italia e Svizzera in diverse scuole (LABA, ILAS) e organizzazioni private. Ha collaborato in veste di consulente e formatore con realtà come Canon, Durst, Mondadori, Yoox, Angelini, Calzedonia, FCP Grandi Opere e altre. Si occupa di post-produzione fotografica e prestampa per diverse realtà editoriali. Nel 2016, la casa madre giapponese di EIZO lo ha nominato Ambassador nel primo gruppo di esperti formatosi attorno al marchio. marcoolivotto.com