4 Aprile 2019 di Vanessa Avatar

Il nostro giornale è fatto, in buona parte, dalle immagini dei lettori. Ogni settimana riceviamo decine e decine di proposte. Ho saputo, con enorme soddisfazione, che alcuni circoli fotografici lanciano sfide interne sulla base delle nostre proposte a tema. Vince chi è selezionato e quindi pubblicato: la redazione del giornale funge così da giuria inconsapevole. L’aspetto più interessante è la discussione che ogni volta si genera quando si tratta di scegliere le foto da mettere in pagina. Non vi è dubbio che per la rubrica dell’esercizio a tema a prevalere è la coerenza ai contenuti lanciata dal giornale. Ma nella sezione delle immagini commentate spesso si scatena la bagarre: c’è chi privilegia la composizione, chi sostiene l’importanza degli aspetti tecnici, come la messa a fuoco, la corretta esposizione, il giusto ed equilibrato intervento di correzione digitale. Poi, al di là della tecnica, prende corpo il gusto personale: la capacità di un’immagine di strappare un sorriso, oppure di concentrarsi sull’impegno sociale, di porre seriamente una riflessione sui molti temi di attualità della nostra società come la violenza, la sopraffazione, l’immigrazione e i disastri ambientali. Diciamo che ogni volta che si scelgono le fotografie non si sente mai definire uno scatto sbagliato. Se la tecnica non soddisfa, il contenuto la rimette in gioco e viceversa. La domanda che ci poniamo in questo editoriale è la seguente: esistono fotografie sbagliate? Ecco due esempi celebri. Il primo è A Series of Unfortunate Events, addirittura premiata dal World Press Photo nel 2011 nella categoria Contemporary Issues, Honorable Mention Prize Stories. Il noto autore Michael Wolf ha raccolto delle immagini che raccontano di situazioni accadute in strada senza nemmeno muoversi dalla sua scrivania e limitandosi a scaricarle da Google Street View. La serie è certamente interessante e dirompente; una persona colpita da infarto, una donna che fa pipì e due amanti che si baciano… Insomma, la vita reale. Michael Wolf, in buona sostanza, ha posizionato una fotocamera su un treppiede davanti allo schermo di un computer e ha ritagliato, isolato e zoomato ciò che più lo interessava. Con questa serie, decisamente di stampo concettuale, Wolf vuole sollevare dubbi sui temi della privacy e porre una riflessione sul valore e il ruolo del fotografo. Il secondo esempio, invece, ce lo propone Erik Kessels con il suo progetto Failed It! How to turn mistakes into ideas and other advice for successfully screwing up (Che sbaglio! Come trasformare i fallimenti in successi mandando tutto all’aria) che è anche una pubblicazione Phaidon, nella quale il creativo olandese ha celebrato l’errore in fotografia. Per Kessels commettere errori, collezionare disastri e fallimenti è sinonimo di miglioramento. Senza il fallimento, si è bloccati in una zona di mediocrità. Per lui, il fallimento non è fatale, anzi al contrario, è assolutamente favoloso. Dai lievi incidenti dei fotografi amatoriali ai grandi errori dei designer professionisti, Failed It! si presenta come una guida/raccolta che vuole dimostrare come commettere errori e avere il coraggio di fallire sia alla base di idee originali e del successo creativo. Dai lavori di alcuni artisti, più o meno noti, agli scatti dei fotoamatori, Kessels colleziona nel suo archivio migliaia e migliaia di stampe sbagliate, per poi trasformarle in mostre-evento. Non è facile trarre conclusioni. Viviamo in un mondo in cui vale tutto e il contrario di tutto. L’amica Chiara Casarin, direttrice dei musei civici di Bassano del Grappa, scrive: «Era il 1917 quando Marcel Duchamp sconvolse il significato della parola “arte” lasciando interdetta la comprensione di alcune operazioni artistiche al pubblico più ampio. Quel pubblico si trovò inaspettatamente a dover rivedere, se non ad abbandonare, i canoni fino ad allora applicati per la lettura delle opere d’arte. Ma da dove nasce il disagio che molti provano ancora nei confronti dell’arte contemporanea? Sono passati cento anni e ancora ci si pone le medesime domande “cos’è un’opera d’arte?”, “qual è il significato della parola arte?». Provate a sostituire la parola arte con fotografia. Il senso non cambia.
 

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