25 Marzo 2020 di Redazione Redazione
Nel 1979, Filippo La Mantia, l’oste e cuoco – guai a chiamarlo chef – che oggi conosciamo per il sapore siciliano della sua cucina e per uno dei ristoranti di riferimento nel cuore di Milano, ha diciannove anni e vive a Palermo. O meglio, vive nella sua Palermo che non ha quasi nulla a che vedere con la città che sta entrando nel decennio della guerra di mafia, del maxi processo, delle manifestazioni antimafia documentate dai più grandi fotografi di reportage. Tra questi, naturalmente, c’è lei: Letizia Battaglia.

La scoperta di “un’altra” Palermo

Un giorno, La Mantia entra nello studio di Letizia Battaglia e scopre che c’è un’altra metà della città che non ha mai conosciuto. È in quel momento che prende in mano la macchina fotografica per entrare nella storia della città nel modo più dirompente. «Non sapevo che cosa fosse la guerra di mafia – ci racconta – per chi non viveva la cronaca; Palermo in quegli anni era una sorta di pianeta misterioso. Facevo parte di quelle persone che trascorrevano una vita straordinaria, piena di grandi energie, facevamo moltissimo sport, eravamo ragazzi che si divertivano molto. Non appena iniziai a frequentare lo studio di Letizia Battaglia, scoprii una Palermo che stava entrando in quella che poi è stata definita una vera e propria guerra di mafia». In un primo tempo, La Mantia segue l’archivio dell’a- genzia di Letizia Battaglia. Poi, le collaborazioni e il lavoro aumentano e inizia lui stesso a correre tra le vie di Palermo per documentare i fatti di cronaca. È così che le fotografie di Filippo La Mantia testimoniano il delitto del Generale Dalla Chiesa, i fratelli Salvo, l’omicidio Chinnici. E, suo malgrado, lui stesso diviene protagonista di un fatto di cronaca che inciderà sulla sua vita, rimanendo vittima della confusione in cui versava la città in quegli anni.

Il carcere

Nell’aprile del 1986 è arrestato per favoreggiamento nell’omicidio del vicequestore Ninni Cassarà e portato nel carcere dell’Ucciardone. È un errore clamoroso che si traduce in una detenzione di ben sette mesi. «In quell’occasione – ricorda – Letizia Battaglia fa un gesto che definirei di amore puro. Avevamo vissuto lavorando accanto ogni giorno, dal 1979 al 1986, e il mio arresto fu uno shock per tutti. Tutti eravamo impegnati in prima linea con l’antimafia, realizzavamo mostre, seguivamo la cronaca. Letizia Battaglia fu la prima a inviarmi un telegramma e a mobilitarsi per parlare del mio caso con il giudice Falcone». La vicenda si risolve con la scarcerazione.

Tutto torna

Ma la vita di La Mantia è segnata anche da straordinari incontri. L’agenzia di Letizia Battaglia era il punto di riferimento da cui passavano tutti i grandi fotografi che lavoravano a Palermo. «Tutte le agenzie, tutti i fotografi di allora venivano a Palermo e noi eravamo la loro base. Sono passati tutti, da Scianna a Koudelka, a Giansanti. Spesso ho portato in giro per la città Josef Koudelka ed è in questo modo che siamo diventati così amici. Oggi ci sentiamo e, quando possiamo, ci frequentiamo». Ha cambiato mestiere, ha cambiato più volte città (Palermo, Roma, Milano), ma da allora Filippo La Mantia ha sempre trovato il modo per stare vicino alla fotografia. «Soprattutto a Milano ho ritrovato i contatti con quei fotografi che avevo conosciuto in modo diretto o indiretto quarant’anni fa a Palermo. Nella vita, tutto torna».
testo di Enrico Ratto

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