di Alice Caracciolo
Iacopo realizza fotografie da quando era ragazzo, ma lo fa professionalmente e a tempo pieno dal 2008. È interessato alla fotografia documentaria, con un’attenzione particolare all’elemento umano e al luogo con cui si relaziona. C’è un forte senso estetico nei suoi scatti, dove si evince subito una cura particolare nella composizione dell’immagine e un uso sapiente del colore e della luce, in linea con le tendenze di una certa fotografia autoriale italiana.
Hai studiato scienze giuridiche e in seguito scienze della comunicazione, ambiti un po’ lontani dal mondo della fotografia e dell’arte. Mi incuriosisce sapere come hai affinato il tuo linguaggio fotografico: quali sono stati i tuoi modelli di riferimento, italiani e stranieri?
L’affinamento è costante e fa parte del viaggio. Se per modelli di riferimento intendi grandi autori e maestri non so fino a che punto possano essere di affinamento per lo sguardo di un autore più giovane. Durante il percorso accademico ho indagato vari ambiti, dal cinema alla letteratura, dal teatro ai periodici. Certamente guardo con entusiasmo alcuni autori nazionali e internazionali, tra cui Wolfgang Tillmans, Walker Evans, Sternfeld, Guido Guidi e Luigi Ghirri. Amo molto Wim Wenders, ma più come regista che come fotografo.
A che punto credi che sia la fotografia autoriale oggi in Italia? Rispetto alle esperienze delle generazioni precedenti, credi sia più facile per un giovane fotografo, oggi, lavorare in questo campo?
Credo che oggi sia molto difficile. Non so se più o meno rispetto a prima. Sicuramente il peso delle generazioni precedenti è ancora troppo forte, ma questo riguarda forse tutta la storia dell’arte italiana. Oggi, c’è davvero tanta gente che prende in mano una macchina fotografica senza sapere bene cosa farne; i social, internet, la fotografia digitale, hanno contribuito alla massificazione fotografica. Il discorso è piuttosto complesso ed è difficilissimo lavorare.
«Fotografo principalmente utilizzando la pellicola perché ritengo che la fotografia, in quanto materia, debba essere registrata e bloccata su un supporto chimico e materiale» Iacopo Pasqui
Hai da poco terminato il lavoro 1999, un’indagine sulla purezza, sull’ingenuità e sul modo di essere ancora un po’ bambini di una minoranza di adolescenti di oggi, lontani da droghe, difficoltà e degrado sociale. Hai già pensato a quale destinazione dare alla tua ricerca?
1999 è forse l’unico lavoro che ho davvero iniziato pensando a una destinazione cartacea.
E’ lungo, complesso, forse enigmatico e la sua sequenza-non sequenza che articola il progetto, credo possa essere contenuta solo in un libro fotografico. Credo sia quella la destinazione ottimale del lavoro. Una mostra di quindici, venti fotografie non racconterebbe molto o comunque non esaurirebbe il discorso sugli adolescenti.
La scorsa estate sei stato selezionato per una residenza d’artista in occasione di Bitume Photofest, festival urbano di fotografia contemporanea in terra salentina. Puoi raccontarmi cosa ti ha dato questa esperienza?
Moltissimo, in termini umani e professionali. Mettere insieme sette fotografi più un coordinatore per lavorare in un tempo così breve non è cosa facile e, contrariamente a quanto ci si possa aspettare, il nostro team era molto affiatato. Un gruppo in cui ci si stimolava e supportava reciprocamente, senza invidia e con stima, in ascolto, e soprattutto, in condivisione di ogni aspetto della residenza, dalle difficoltà ai piaceri. C’era molta umanità e grande professionalità, oltre alle bellezze paesaggistiche del Salento.
Sei tra i finalisti di quest’anno del premio San Fedele; su cosa si focalizzerà la tua attenzione per la realizzazione del lavoro previsto dal bando di concorso?
Bella domanda, ma non so darti una risposta precisa. Ho alcune idee in mente. Il premio ha come tema i concetti di esodo e di liberazione, argomenti complessi che rischiano una facile banalizzazione. Forse farò un’installazione oppure un progetto che racconti un mio esodo interiore, mentale, intimo. Sono ancora indeciso, attendo il confronto con la mia curatrice di riferimento per il premio. Magari sarà un esodo lunare… chissà.
Iacopo ha iniziato il suo percorso realizzando servizi in giro per il mondo; ha poi avuto un assignment per Leica e l’Agenzia Magnum e per Treccani. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive. Oggi vive e lavora a Pescara come fotografo documentarista e artista visuale.
Sito
www.iacopopasqui.it