1 Aprile 2020 di Redazione Redazione
La realtà incuriosisce per il suo essere mutevole e varia. Attraverso le sue immagini poetiche, colorate e interscambiabili, Marguerite Bornhauser riesce a trasmettere pure emozioni, raccontando non una, ma infinite possibili storie. L’interpretazione, come lei stessa spiega, sta a noi, liberi di proiettare nelle sue fotografie le sensazioni e i ricordi che scegliamo di vedere. L’artista trae spunto spesso e volentieri dalla letteratura, senza privarsi di sfumature cinematografiche, pittoriche e fiabesche.
Le serie fotografiche vanno di pari passo con delle pubblicazioni. Come sono nati questi progetti editoriali?
«Il primo è stato Plastic Colors. Mentre ancora studiavo, partecipai a una residenza artistica a Berlino, dove il mio progetto ha preso piede. Iniziai a camminare per la città, passando almeno due ore ogni giorno a scattare immagini a oggetti di plastica colorati. Le immagini che ho prodotto per quella serie avevano lo scopo di smarrire l’osservatore, portarlo a chiedersi cos’ha di fronte, far sì che ognuno potesse immaginarsi una realtà e una propria storia da sé. Plastic Colors raccoglie immagini scattate a Berlino, ma anche a Parigi – un po’ ovunque a dire il vero –, perché ciò che importa non è la realtà oggettiva, non è riconoscere il luogo o il soggetto. Ciò che conta sono i colori, le ombre, la combinazione di immagini che normalmente non verrebbero accostate. Così nacque il primo libro, inizialmente come autopubblicazione, ma in seguito un insegnante della mia accademia inviò il libro al MACK First Book Award (Edizione 2015) senza avvertirmi, venni selezionata e lo pubblicai grazie al supporto di un editore e della Galerie Madé che attualmente mi rappresenta a Parigi. Il libro 8, invece, è il frutto di un lavoro realizzato durante una residenza artistica in Deauville, una località marittima, nota per il casinò e la vita notturna. Lasciandomi ispirare dal contesto in cui ero, ho deciso di fare un omaggio a Françoise Sagan, autrice francese nota già negli anni Sessanta per il suo essere sovversiva e anticonformista. La mia serie si riferisce a un racconto autobiografico di cui Sagan parla nel libro Avec mon meilleur souvenir, dove il gioco d’azzardo, la vita spensierata e vacanziera, e soprattutto l’ossessione per il numero otto sono protagonisti. È una scrittrice e sicuramente avrà inventato qualcosa nel suo racconto. Allo stesso modo io vedo la mia fotografia. Ho quindi voluto realizzare un’interpretazione visiva di quella storia, tra biografia e invenzione, tra realtà e finzione».
Dalla serie 8, 2015-2018

Dalla serie 8, 2015-2018

Il titolo del tuo ultimo libro è Red Harvest – ne abbiamo parlato qui ndr. Perché l’hai scelto? «Il libro nasce da un progetto che mi è stato commissionato da Simon Baker, curatore e direttore della Maison Européenne de la Photographie (MEP) di Parigi. Baker si stava occupando di una mostra sul roman noir e, sapendo che lavoro molto sulla combinazione letteratura e fotografia, mi chiese di realizzare qualcosa che avesse a che fare con un romanzo noir, dandomi però assoluta libertà. Durante le ricerche trovai un libro di Dashiell Hammett intitolato Red Harvest (1929) e pensai fosse interessante. Ne ho ripreso il titolo, ma non il contenuto. Ho creato quindi una mia storia, utilizzando diverse immagini d’archivio e giocando con nuove combinazioni e accostamenti che potevano ben relazionarsi con il titolo Red Harvest. Inoltre, essendo l’originale degli anni Trenta, il carattere tipografico utilizzato nel titolo e la rilegatura a spirale volevano essere dei rimandi ai libri di quell’epoca».
Red Harvest Moisson Rouge, 2019

Red Harvest Moisson Rouge, 2019

Si dice che le immagini migliori sono quelle che funzionano perfettamente, sia fuori che all’interno di una serie. Cosa ne pensi in riferimento al tuo storytelling visivo? «Per me ogni immagine possiede una propria storia, ma diventa davvero interessante quando, attraverso le varie combinazioni, nascono nuove storie. Voglio che nel guardare le mie fotografie si ripensi ai propri ricordi e, attraverso questi, si decida di proiettarvi sopra qualunque cosa. Inoltre, se scelgo una sequenza per un libro, non significa che questa debba rimanere tale all’interno di una mostra o per altri progetti. Mi piace vedere le mie sequenze fotografiche un po’ come delle poesie, per cui ogni immagine rappresenta una parola e il messaggio cambia in base alla combinazione che scelgo di adottare. Se sento di poter usare la stessa parola in un’altra frase, lo stesso vale per le fotografie»
di Silvia Carapellese
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Marguerite Bornhauser

Marguerite Bornhauser
Fotografa francese nata nel 1989. Vive e lavora a Parigi. Il suo lavoro è stato esposto alla Maison Européenne de la Photo- graphie e a Paris Photo (2019), nelle strade di Cincinnati per il Cincinnati Art Museum, ad Arles durante il festival della fo- tografia, ad Agnès B, agli AMP Studios di Londra. Marguerite Bornhauser aggiunge solitamente un lavoro editoriale alla sua ricerca fotografica. Il suo primo libro, Plastic Colors, è stato selezionato tra i finalisti del primo premio Mack books nel 2015 e pubblicato nel 2017. Il suo 8 è stato pubblicato da Poursuite nel 2018. Nel 2019 ha dato alle stampe Red Harvest con lo stesso editore. Collabora anche con riviste e giornali francesi e internazionali come fotoreporter, ritrattista e fotografa di moda.
 

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